Sette contro Tebe
di Eschilo
Ovvero ogni guerra è guerra civile.
Dopo la tragedia dei vinti lavoriamo sulla tragedia dei fratelli. Dopo lo scontro tra Oriente e Occidente, lo scontro di guerra civile.
regia gianluca guidotti ed enrica sangiovanni
sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
con Enrica Sangiovanni, Gilberto Colla, Andrea Sangiovanni, Gianluca Guidotti, Vieri Parisi, Alfredo Puccetti, Martina Guideri (edizione 2005), Giulia Baracani (edizione 2007 e 2008)
produzione Archivio Zeta 2005
Dopo I Persiani abbiamo scelto di mettere in scena Sette contro Tebe perché le due tragedie di Eschilo formano un dittico naturale: la prima è ambientata presso la tomba di Dario il Grande e parla di un antico scontro di civiltà, quello tra il grande impero persiano ed Atene, e di una distruzione, quella del glorioso esercito persiano guidato da Serse nella battaglia di Salamina del 480 a.C.; la seconda ha come protagonista una città sotto assedio, una città ‘minata’ e come tema cardine lo scontro fratricida tra Eteocle e Polinice.
Dopo la tragedia dei vinti lavoriamo sulla tragedia dei fratelli. Dopo lo scontro tra Oriente e Occidente, lo scontro di guerra civile.
Pier Paolo Pasolini a proposito della sua traduzione dell’Orestiade eschilea diceva: “Mi sono gettato sul testo a divorarlo come una belva, in pace: un cane sull’osso, uno stupendo osso carico di carne magra, stretto tra le zampe, a proteggerlo, contro un infimo campo visivo.” A partire da queste radici si provano innesti per nuovi frutti di Teatro di Parola. Il prologo ripiglia il Brecht dell’Antigone: “inconsueto può sembrarvi l’elevato linguaggio dell’opera poetica che qui rappresentiamo” , l’epilogo è il finale de La casa in collina di Pavese. Nel mezzo lo stupendo osso di Eschilo. Noi ci gettiamo sul testo come su un legno dalle antiche venature, a lavorarlo e a ridirlo con caparbietà e umiltà. Cerchiamo di cogliere la potenza delle arcaiche note di Eschilo e l’eco di quei versi, ‘irripetibili’ per pietà e umanità, sta alla base della nostra riflessione sulla cultura occidentale. In scena solo protagonista, deuteragonista e coro: è la tragedia più arcaica, quella più tesa, febbrile, magra. È una lama affilata. Una proposta teatrale spoglia in cui si possono restaurare e mettere in luce i segni ancora validi e ancora presenti di un racconto che parla di noi, dei nostri sciagurati anni: Tebe come Milano o Berlino 1945, Tebe come Sarajevo 1992 o Grozny o Kabul o Baghdad o New York o…Tebe come Tebe: ipotetica cavea in cui si recupera l’umanità offesa, la fratellanza oltraggiata, cadaveri ricomposti nella dignità della pietà, nel cielo limpido della catarsi.
Non c’è vincitore e la sofferenza è un archetipo genetico che ci tiene legati alle parole di questo mito. Il respiro tragico è una morsa e questo vecchio legno contiene immagini sublimi: Tebe è per tutto il tempo dello svolgimento una nave in tempesta, una barca che fa acqua, Eteocle è timoniere solo, terribilmente isolato nella sua coerenza suicida e omicida. Solo il finale ci dirà che la sua lotta è una lotta fratricida, civile. E questa terribile dissonanza risulta un accordo della guerra e della morte. Un uomo nuovo nasceva nel teatro di Eschilo, un uomo la cui nascita sarebbe dipesa indissolubilimente da una morte cupa e grave, e la cui esistenza per essere tale avrebbe dovuto, per forza di cose, nutrirsi di una nuova civiltà. I versi di Eschilo sono la materia viva dello spettacolo e sono anche la scenografia, lo spazio, il terreno dello scontro: niente abbellimenti o idee nuove, niente di falsamente greco, niente di posticcio. Niente Chiacchiera e niente Gesto o Urlo ma un teatro che è, secondo il manifesto di Pasolini, rito culturale. Dal confronto diretto con la materia drammaturgica, dalla lima e dalla pazienza, nascono il tono giusto e le idee per la direzione degli attori. Come nei teatri greci, la tragedia è recitata senza altro se non la presenza degli attori e del Coro che dicono la Storia di ‘un’altra distruzione’ dell’umanità. La tragedia greca ci insegna l’essenziale. Cerca di descrivere ciò che non si vede. L’azione è nel logos.
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