Il Presidente
di Thomas Bernhard
Il Presidente, concepito in anni di violenza, di attentati e repressione, mette in scena con cupezza la tragicommedia del potere.
Regia Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
Traduzione Eugenio Bernardi
musica Patrizio Barontini
design furniture Heron Parigi
con Enrica Sangiovanni, Bianca Francioni, Gianluca Guidotti, Giovanni Carli
grazie a Francesco Gajani/Ubulibri – Suhrkamp Verlag – Zachar International
Teatro di Buti – Roberto Menin – Guido e Paolo Parigi
produzione Archivio Zeta 2011
Il Presidente/Der Präsident è un testo teatrale di Thomas Bernhard scritto nel 1975. Non è mai stato rappresentato in Italia. Abbiamo deciso di lavorare su questo testo perché fa parte delle commedie politiche scritte dal grande autore austriaco. Come sempre nella sua scrittura non si tratta di teatro politico didascalico, non si tratta di indicare soluzioni, ma di provocare nello spettatore, attraverso il ritmo e la reiterazione ossessiva del verso, un sinistro sentore di incertezza, un perturbamento intriso di ferocia e di sarcasmo spesso a tratti di una comicità raggelante.
Il Presidente, concepito in anni di violenza, di attentati e repressione, mette in scena con cupezza la tragicommedia del potere: il Presidente, incarnazione della fine di ogni morale del ceto dirigente, in vacanza/riparo nel Portogallo della dittatura dopo uno scampato attentato, monologa davanti alla sua amante/attrice.
La Moglie del Presidente, mentre si prepara per i funerali di Stato (nell’attentato è rimasta uccisa la scorta) altrettanto monologante piange, davanti alla propria cameriera asservita, il suo cane morto di crepacuore nel corso dell’attentato stesso.
Rifuggendo ogni banale e facile attualizzazione, lavoriamo sul testo come un ensemble da camera: la partitura dei gesti, così minuziosamente descritta da Bernhard, è intessuta con la partitura vocale.
Un testo che chiede la massima precisione nell’evidenziare la brutalità dei rapporti umani, l’umiliazione dell’essere umano, l’arroganza di ogni forma di potere. Ci pare di intravedere anche dal titolo, così netto e ad ampio spettro, come una profezia, una analisi commovente di quello che siamo diventati.
Più che uno spettacolo all’ordine del giorno (non ci occupiamo del contingente ma della perennità e di figure archetipiche) da questa messa in scena vorremmo venisse a galla, antropologicamente e moralmente, il volto deforme che sempre in contropelo, dopo attenta osservazione, appare. Come nei dipinti di Lucas Cranach.
Voler comunicare questo significa prendersi la piena responsabilità nell’uso delle parole e dei gesti in anni orrendi.