Gli uccelli
di Aristofane
Gli Uccelli è uno spettacolo nato dalla necessità e dall’urgenza di mettere in scena un testo importante, difficile, un testo che ponesse delle domande, dei dubbi.
regia di Gianluca Guidotti
musiche Paolo Vivaldi
progetto scenico Sergio Tramonti
aiuto regia Francesco Lagi
coreografia del Coro Carolina Giudice
con Francesco Colella, Gianluca Gambino, Enrica Sangiovanni, Stefano Scherini e la voce di Marisa Fabbri
produzione Archivio Zeta 1999
Gli Uccelli è uno spettacolo nato dalla necessità e dall’urgenza di mettere in scena un testo importante, difficile, un testo che ponesse delle domande, dei dubbi. E proprio dal tentativo di rispondere a questi interrogativi ha preso corpo e vita questa messa in scena. Si è scelto di far interpretare i quindici e più personaggi da tre attori come vuole il canone della commedia greca antica, restituendo quindi ritmi e tempi dati dall’alternarsi continuo e frenetico degli attori da un personaggio all’altro. Questo ci ha permesso di individuare nelle parti che erano in origine dedicate al coro, con i canti e le danze, un momento lirico, satirico e metateatrale a sé stante. Il coro degli Uccelli, infatti, viene recitato e danzato da una sola attrice che attraverso un linguaggio inventato di segni, movimenti scelti e ripetuti, ricrea la varietà e la moltitudine che questa importantissima e a noi oscura parte della commedia doveva avere. La dea Iride invece è la voce di Marisa Fabbri, voce amica di un’attrice divina, suono della mente, uno strano mal di testa per Pistetero, una piccola visitazione. Si è cercato di far nascere il lavoro in uno spazio scarno ma non piatto, nell’intento di ricreare una semplicità autentica. Uno spazio svuotato. La scena pensata insieme a Sergio Tramonti è costituita da una piccola pedana mobile in legno che di volta in volta si trasforma creando spazi definiti e sospesi. Durante le prove ci siamo chiesti se fosse possibile leggere questo testo senza tradirne la sostanza, senza svilirne la comicità a tratti furibonda e lo spaesamento che di volta in volta si insinua fino a diventare motivo centrale. Forse proprio il germe dello spaesamento ha spostato la nostra attenzione per esempio sul gioco di sguardi che disegnano qualcosa che non c’è: due uccelli invisibili conducono i due vecchi in uno spazio magico in cui avvengono le epifanie del mondo alla rovescia. La musica composta da Paolo Vivaldi tende ad esaltare queste sospensioni informando l’immaginario con i corali, i larghi e le ruvide viole da gamba. Un’incursione nel paese delle meraviglie in cui gli attori balzano nei personaggi con rapidità e li abbandonano per altri sempre nuovi, senza mai trascurare lo straniamento che li attraversa dall’uno all’altro.
Un lavoro vivo per gli attori, sempre aperti ai giochi teatrali, sempre ricettivi nei confronti della materia che spogliata dei meccanismi comici immediati diventa inquietante. Un testo contemporaneo per uno spettacolo che evidenzia la disfatta dell’utopia, il sogno che si fa incubo notturno, il salto nel vuoto della fantasia. Nient’altro: due vecchi sedotti da una forma di libertà abbandonano la polis. La proposta di un modello ideale di città condurrà uno dei due vecchi ad essere ingabbiato dalla sua propria manìa.
Si è cercato di raccontare tutto questo rispettando il testo originale senza rielaborazioni ma soltanto asciugando quanto necessario. Si è cercato di trovare una possibilità visiva alle suggestioni irreali e visionarie di Aristofane.