Anfitrione
di Tito Maccio Plauto
Anfitrione non è soltanto un copione comico, è un testo a tratti anche violento. Non è soltanto un’azione comica classicamente perfetta ma un meccanismo di equivoci ad incastro che pian piano ci conduce ad un disorientamento.
regia di Gianluca Guidotti
con Gianluca Gambino – Anfitrione, Gianluca Guidotti – Giove, Mariano Pirrello – Sosia, Enrica Sangiovanni – Alcmena, Stefano Scherini – Mercurio
musica Dizzy Gillespie
produzione Archivio Zeta 2000/2001
Anfitrione non è soltanto un copione comico, è un testo a tratti anche violento. Non è soltanto un’azione comica classicamente perfetta ma un meccanismo di equivoci ad incastro che pian piano ci conduce ad un disorientamento. Anfitrione di Plauto rimanda a qualcosa di archetipico, scava subito una traccia netta tra sé e le altre, pur divertentissime, commedie plautine e, al di là dello schema drammaturgico così tante volte ripreso e ricalcato in epoche e culture successive, inaugura ufficialmente il genere della tragicommedia. A partire da queste sensazioni abbiamo iniziato a ricercare l’essenziale. Dopo Gli Uccelli era necessario verificare il metodo di lavoro con lo stesso gruppo di attori per approfondire le possibilità e mettere in discussione le capacità. Plauto narra con leggerezza della disfatta dell’identità, del disorientamento nella contesa dell’io. Siamo nel territorio instabile del dubbio: chi siamo? La notte è un buio reale in cui i personaggi si muovono grazie ad un lume: la scena iniziale, lo scontro fisico e mentale tra Mercurio e Sosia, calato in una notte infinita, asfissiante, una scena dilatata, insistita, una disputa per l’identità. Il resto è la commedia, il racconto di un mito, una storia. Il teatro latino ancora più vuoto di quello greco ancora più teso verso il pubblico. Da qui riparte il nostro itinerario: le prove, il lavoro quotidiano. Si lavora con poco, cercando di individuare ciò che è essenziale per raccontare la vicenda. Lo spazio nasce dalle figure dei vasi greci: una finestra, una scaletta, la luna. La scena è lo scheletro della scenografia. Musica e rumori sono eseguiti dal vivo dagli attori, dentro e fuori scena. Il flauto dolce e la grancassa sono gli unici strumenti superstiti del teatro romano. Tentiamo di trovare il ritmo di ogni scena, il respiro, l’armonia dei tempi comici e la cadenza dei frammenti drammatici: un lavoro sulla leggerezza della tragicommedia. Abbiamo impostato le prove come un laboratorio, cercando di lavorare il più approfonditamente possibile, nonostante le difficoltà enormi di una autoproduzione.