Teatro di Marte. Il Cimitero militare germanico del Passo della Futa
Anna Maria Farabbi | 27/08/2019 | CARTESENSIBILI
Sulla schiena dell’Appennino tosco emiliano, a novecento metri dal mare, nel comune di Firenzuola, dal 1759 una vena asfaltata collega Firenze a Bologna,un’altra difensiva, ora trasparente ma indelebile nella memoria, nominata linea gotica, durante la seconda guerra mondiale, costituiva il solco difensivo tedesco nel nostro Paese, sfondato poi nel settembre 1944 dagli alleati e partigiani. Sopra conifere, abeti bianchi e rossi, secolari latifoglie, faggi e aceri montani, spiga un poggio verde di terrazzamenti contenuto da una sobrio abbraccio di arenaria grigia, lungo due chilometri, tessuto con conci irregolari e sfalsati. Dentro questo cuore recintato, si apre e si sparge un silenzio vegetale e minerale che il cielo investe ogni giorno di luce e di notte primordiale.
Dentro dodici ettari a gradoni, camminabili in sentieri concentrici e scalinate, sono seminate, in 72 settori, 16.000 lastre di granito grigio, ciascuna con la scrittura di due nomi e cognomi: sono migliaia di culle di pietra dentro cui giace la morte di due soldati tedeschi.
Immerse nella terra due cripte. Suggestiva quella con finestra a nastro fessurata da una lingua orizzontale di luce che irraggia la memoria dei dispersi. Oltre, vasche d’acqua e erba arpeggiata dal vento.
La prima volta che ho incontrato questo spazio è stato un anno fa, invitata alla rappresentazione teatrale Antigone da Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni di Archivio Zeta. Mentre entravo rallentata con i piedi timorosi e con la testa stupefatta, mi accadeva addosso il tramonto tra intagli scuri di ombre e chiarezze limpide: i cromatismi minerali delle tombe in emersione dal verde. Un cuneo solitario di pietra,quasi dolomitica, una gigantesca spina confitta al cielo con le radici nella morte spicca al vertice del cimitero come una segnaletica, un urlo coagulato dal silenzio.
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i persiani di eschilo-archivio zeta- cimitero della futa
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Accedevo impressionata come in laica iniziazione cerimoniale attraverso un esercizio indotto di preparazione interiore, prima di raggiungere con gli altri la prima postazione di noi pubblico pellegrino per uno spettacolo itinerante. Non si è trattato di evento teatrale ma di una vera e propria esperienza organica dentro cui abbiamo vissuto tutto: il camminamento, gli echi della riflessione nel paesaggio, la memoria collettiva e individuale nel caleidoscopio dei significati di questo luogo pregno e la rappresentazione.
La scansione ciclica della giornata usciva nel suo arancio terminale innestandosi a un silenzio fisico, non mortifero, non definitivo, ma palpabile, aperto, maestoso, invasivo, inquietante perché brulicante di complessità. Mi attraversava mentre scorrevo i nomi di alcuni dei 30.683 soldati delle forze armate tedesche caduti nella fase finale della seconda guerra mondiale. Giovani, giovanissimi anche senza barba, sdraiati e immobili, infilati in terra in un muto ordine perfetto.
Tutti maschi.
La guerra nelle sue dinamiche metamorfiche è di genere maschile. E per questo genere continua a perpetuarsi.
Il Cimitero della Futa è il cimitero militare tedesco più grande realizzato in Italia.
Archivio Zeta non è solo una straordinaria compagnia teatrale. E quando scrivo compagnia è qui davvero appropriato ricordare la radice germinale latina cum con panis pane. Partecipe dello stesso pane. Nell’identità della condivisione etica. E’, vorrei definirlo così, un compasso artistico costituito da due aste matrici di pensiero, progettazione indipendente, pratica drammatica: Gianluca Guidoni e Enrica Sangiovanni. Entrambi sorgono dall’alveo di Luca Ronconi, Marisa Fabbri, Daniele Huillet, Jean Marie Straub, Paolo Benvenuti. Tra le loro numerose attività, ultima è quella editoriale che porge questa prima notevole e necessaria pubblicazione, raggiunta dopo la loro intensa, originale frequentazione con il Cimitero della Futa. Infatti, dal 2003, Archivio Zeta ogni anno offre uno spettacolo teatrale, principalmente con opere tratte dalla tragedia greca. Il primo è stato I Persiani di Eschilo. Il pubblico nell’esperienza vive interamente con gli attori questo palcoscenico drammatico.
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eschilo-archivio zeta-cimitero della futa
coefore -archivio zeta- cimitero della futa
il minotauro, nel labirinto di julio cortazar-archivio zeta- cimitero della futa
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Torno al libro.
E’ encomiabile il gesto di responsabilità e consapevolezza nel concepire un’opera collettiva che possa fornire un ritratto del Cimitero narrando l’intreccio dei suoi fili storici, sociali, architettonici, filosofici, simbolici. Il testo, a cura di Elena Pirazzoli, ha scritti di Luca Baldissara, Giacomo Calandra di Roccolino, Carlo Gentile, Gianluca Guidotti, Sofia Nannini, della stessa Enrica Sangiovanni e BirgitUrmson, con fotografia di Franco Guardascione.
Diviso in due parti: nella prima si affrontano le tematiche accennate, con articolati affacci e prospettive, una bibliografia esaustiva per ogni successivo approfondimento; la seconda è dedicata alla documentazione fotografica e bibliografica di Archivio Zeta per i quindici suggestivi, intensi, anni di teatro marziano.
Questo libro, come tutto il lavoro di Archivio Zeta, nella bellezza e nel filo rosso di una colta coerenza etica, praticala resistenza, interrogando il profondo individuale e sociale, sprofondandolo vertiginosamente nel passato per scaraventarlo nella quotidianità esistenziale, politica, storica del qui e ora.
Ringrazio con riconoscenza i due maestri: Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni.
Anna Maria Farabbi
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Teatro di Marte. Il Cimitero Militare germanico del Passo della Futa- archiviozeta editrice 2019
a cura di Elena Pirazzoli, con scritti di Luca Baldissara, Giacomo Calandra di Roccolino, Carlo Gentile, Gianluca Guidotti, Sofia Nannini, Enrica Sangiovanni, Birgit Urmson, e quindici anni di foto di Franco Guardascione.