Teatro contropotere – Vita, scelta e fatiche di essere Archivio Zeta
Matteo Brighenti | 31/03/2015 | Quaderni della Pergola
Teatro contropotere
Vita, scelta e fatiche di essere Archivio Zeta
Si sale in montagna quando la pianura è irrespirabile. Lassù, sul Passo della Futa, nell’Appennino fra Toscana ed Emilia-Romagna, i registi e attori Gianluca Guidetti ed Enrica Sangiovanni, la compagnia Archivio Zeta, hanno costruito la resistenza del loro fare teatro. “Nel 2002 abbiamo scoperto il Cimitero Militare Germanico della Futa – racconta Gianluca Guidetti – un imponente monumento a cielo aperto che raccoglie i caduti tedeschi della Seconda Guerra Mondiale morti sulla Linea Gotica e si estende a mille metri di altitudine per circa 36.000 lapidi. Solo li, affidandoci ad assonanze con la nostra memoria storica, potevamo mettere in scena la guerra de I persiani di Eschilo.” Il tragico ateniese aveva partecipato a quel conflitto: in un cimitero quel testo ha ritrovato la sua forza originaria.
“Il teatro è il nostro modo di fare politica – interviene Enrica Sangiovanni – le nostre parole sono politiche.” Politica intesa come recupero delle nostre radici nel passato. Archivio Zeta, infatti, persegue con ostinazione un lavoro culturale sulla militanza dell’archivio: gli oppositori al regime dei colonnelli in Grecia scrivevano sui muri Zeta – è vivo quando uno di loro veniva ucciso.
Il passato, da un punto di vista teatrale, è proprio la tragedia greca. “Abbiamo iniziato dall’inizio – precisa Guidetti – più che di tragedia greca in generale, però, parlerei di un avvicinamento a Eschilo. Ci interessava il modo in cui affronta il potere o, meglio, il dominio. In Eschilo abbiamo trovato tutte le situazioni in cui un uomo domina o viene dominato.” “Poi le abbiamo rintracciate in Sofocle, Ibsen, Bernhard, Kraus – prosegue Sangiovanni – a noi piace frugare negli autori che si occupano di sopraffazione.”
Quasi una scuola di democrazia, fondata però su testi che rappresentano potere, sottomissione, manipolazione: il teatro di Archivio Zeta è allora un atto di svelamento, mostra cosa può succedere se non siamo cittadini attivi, costruttori di comunità. “Penso che questa fosse la funzione del teatro quando è nato nella democrazia ateniese – ragiona Guidotti – l’estate scorsa al Festival di Volterra, grazie ad Armando Punzo, abbiamo portato un progetto che si chiama Logos: la radice ‘leg1 significa proprio ‘legare’. Abbiamo cercato di unire attraverso le parole la città franata per le grandi piogge invernali, ma anche, simbolicamente, il senso civile e civico.” Nel 2014 vincono il Premio Rete Critica per la miglior progettualità, per aver raccontato “il lato oscuro della condizione umana con un impegno e una tenacia capaci di radicarsi, coinvolgere e rinnovarsi”. Una scelta pagata sulla propria pelle. “Quel Premio è un riconoscimento a un modo anarchico di trattare con l’establishment teatrale – conclude Guidotti – dai nostri maestri non abbiamo ricevuto alcun aiuto, produzioni e spazi li abbiamo dovuti trovare da soli, tra mille difficoltà. E pur essendo riconosciuti dalla Regione Toscana, a Firenze non siamo ancora riusciti a portare un nostro spettacolo.”
La radicalità di Archivio Zeta non è un’etichetta e il potere è un’ossessione artistica perché l’hanno subito e lo subiscono tuttora. Cori, il prossimo progetto è rappresentare, a episodi, Il Pilade di Pasolini, sul rapporto del cittadino con il potere che governa, quindi con la democrazia. Il debutto, significativamente, il 25 aprile al Parco storico di Monte Sole, Marzabotto, provincia di Bologna, nei luoghi dell’eccidio nazista del 1944. (M.B.)
Allievidi Luca Ronconi, nel 1999 smettono di lavorare con il maestro perché sentono, fortissima, l’urgenza di trovare la loro strada. Nasce Archivio Zeta. In seguito, Jean-Marie Straub e Daniele Huillet li aiutano ad avere un’attenzione per i luogh i inesplorati, a concepire un teatro quasi cinematografico. “La comunicazione è diretta e immediata – afferma Guidotti – un lavoro di artigianato sulla parola e la lingua italiana che approfondiamo facendo dei laboratori, per ritrovare la misura di ciòche abbiamo perso.”