Tempo e malattia
05/08/2022
Corriere di Bologna
Massimo Marino
La montagna incantata – GENERALE
La Montagna incantata di Mann diventa un percorso nelle emozioni orchestrato da Archivio Zeta nel Cimitero militare germanico
È davvero una montagna incantatrice quella che trovate salendo al Passo della Atta per vedere l’ultimo spettacolo di Archivio Zeta. La compagnia bolognese inscena da oggi fino al 21, tutti i giorni alle 18, La montagna incantata di Thomas Mann (prenotazioni archiviozeta.eu). Lo allestisce nel Cimitero militare germanico, la collina che contiene le lastre tombali di più di 3omila soldati tedeschi, spesso giovanissimi, morti nella Seconda guerra mondiale, coronata da un sacrario in pietra con una bassa cripta e la scultura di un’ala ripiegata. La suggestione del luogo allontana la violenza della guerra e dell’esercito oppressore con la cortina del tempo, del silenzio, della «pietas» di fronte a quel trionfo della morte. Per chi non lo ha mai visitato sarà una scoperta, con la Corona di monti che lo cinge, con il lago sullo sfondo, il vento e gli odori che si intrecciano alle parole degli attori. 11 romanzo di Thomas Mann viene diviso da Archivio Zeta in due parti: la seconda andrà in scena l’anno prossimo, mentre nel 2024 le due parti saranno rappresentate insieme. Spiegano Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, fondatori della compagnia, registi, drammaturghi, attori: «Noi al Cimitero abbiamo sempre rappresentato cicli di spettacoli, dalla trilogia dell’Orestea di Eschilo a quello su Dostoevskij. Avevamo qualche timore a spezzare il romanzo, che comunque ba più di mille pagine: il successo delle prime tre repliche di fine luglio ci ha confortati». Continuano: «Da anni lavoravamo su Mann, che non è solo romanziere, ma filosofo, scienziato, maitre à penser. Volutamente ci siamo tenuti lontani dal romanzo sulla Seconda guerra mondiale, Doktor Faustus, che avrebbe potuto risultare troppo legato al luogo; ma dopo gli spettacoli filosofici su Dostoevskij abbiamo voluto recuperare una storia da raccontare». Lo spettacolo dipana nello spazio, in una via crucis itinerante, la storia del giovane Castorp, arrivato a Davos in Svizzera negli anni che precedono la Grande Guerra per visitare il cugino rinchiuso in un sanatorio. Da quel luogo il protagonista viene irretito, fino a che non si scoprono anche in lui i segni della malattia. «Il tempo e la malattia — continuano i due fondatori — sono i temi dominanti». ll primo si dilata e si restringe a seconda dello sguardo dei personaggi. La seconda ritorna in continuazione: «Si discute se faccia parte dell’essere umano, se lo modifichi, se sia umiliazione del corpo e dello spirito, come sostiene Settembrini, personaggio di pensatore laico, razionalista… I punti di vista sono molti: alla fine si esce con nuove domande».La scelta di un’opera così incentrata su una malattia polmonare non è casuale: «Stavamo lavorando da tanto sul romanzo, ma questi anni di pandemia ci hanno dato un nuovo impulso. In scena ci sono malati, medici, rappresentati anche in modo “magico” o grottesco, certificati necessari per ritornare nel mondo dall’isolamento della montagna che incanta. E siamo naufragati nel romanzo di Mann perché contiene molti dialoghi, tanto parlato». Sulla scelta del luogo: «Siamo stati incantati dal Cimitero militare molti anni fa. Avevamo lavorato con Luca Ronconi, a Roma, a Milano, in tournée. Cercavamo un luogo fuori dal teatro, dove lavorare stagionalmente, come contadini, dove creare un teatro epico. La scintilla è stata pensare la tragedia della violenza, della colpa e del tentativo di riconciliazione, la tragedia greca, tra quelle pietre tombali. Questo più che un luogo di memoria è un precipitato di memorie. E poi sulle sue terrazze in alto si recita benissimo, come nel teatro greco di Segesta». Lo spettacolo è molto bello, con gran finale al tramonto e una troupe di attori giovani, sotto i trenta, di grande valore: «Crediamo —concludono gli Archivio Zeta — per la prima volta di avere una compagnia con un futuro». Al fianco dei due fondatori troviamo Diana Dardi, Pouria Jashn Tirgan, Giuseppe Losacco, Andrea Maffetti, Giacomo Tamburini, con la partecipazione di Antonia, Elio e Ida Guidotti, il violoncello di Francesco Canfailla, le musiche di Patrizio Barontini.
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