Sulla collina incantata il cimitero è un teatro
09/08/2024
il Venerdì di Repubblica
Masolino D'Amico
La montagna incantata – GENERALE
NON È RARO che uno spetta-colo teatrale venga proposto in un ambiente non destina-to a tale us o, ma scelto per il suo fascino intrins eco , nonch é,m a gari, per le nuove risonanze che così posso-no arricchire un testo. Mettiamo, Ara-lato sugli spalti dì un castello che fun-ge da Elsinore.Ma è unico il caso di una compagnia che da più di vent’anni de-dica i suoi allestimenti estivi non tanto alla valorizzazione dei copioni quanto a quella diun posto p articolare,sempre, lo stesso. Più che di far ascoltare i clas-sici in un modo diverso, insomma, qui si tratta di usare i classici per far riflet-tere su un luogo; ed è un luogo straor-dinario, diverso da ogni altro e porta-tore di un messaggio al quale è impos-sibile restare indifferenti. Si tratta della compagnia archivio-zeta, di stanza a Bologna, e del Cimite-ro militare germanico al passo della Futa. Si trova sulla sommità di una collina, a poca distanza dal passo che una volta, prima dell’Al, bisognava valicare per recarsi da Firenze a Bologna o viceversa. Oggi naturalmente il grande traffico non ci passa più, e la tortuosastradaèpercorsanellabuona stagione da escursionisti amanti del verde e dell’aria pulita. Non molti di costoro provano però la tentazione di andare a vedere cosa sia la strana apparizione che a un certo punto si manifesta in lontananza: un rudere medievale, i resti di una fortezza? È una costruzione triangolare, a forma di vela, o meglio, di pinna di squalo, o di timone di aereo; molto alta e in apparenza leggera, ma, più da vicino, composta di mattoni di pietra serena del colore del legno bruciato, con un intarsio irregolare di marmo opaco che le traccia una striscia lungo un fianco.
TRA ANTIGONE E FOSCOLO
La sua funzione è imperscrutabile,ma a capire meglio di cosa si tratti aiuta qualche notizia sulla genesi sua e del comprensorio sottos tante, magari derivata dal volume che la stessa archiviozeta ha dedicato sia alla propria . passione sia a un bilancio della propria attività (Teatro di Marte, 2019). Nacque negli anni Cinquanta l’idea di raccogliere in un ulteriore cimitero di guerra (in Italia se ne contano parecchi) le salme sparse dei numerosi soldati tedeschi caduti da queste parti, nella difesa della cosiddetta Linea gotica, verso la fine del ’44. La realizzazione di questo particolare cimitero fu lunga, più di dieci anni, e complicata, e molto originale. La Germania di allora non voleva ostentare eroismi, ma semplicemente seppellire i suoi morti. È un concetto antico e, come dice anche il Foscolo, alla base della civiltà: «Dal di’ che nozze efunerali ed are—diero alle umane belve esser pietose— di sé stesse e d’altrui…».
Si badi bene: di sé stesse, e d’altrui. Larnorte mette tutti sullo stesso piano, anche il traditore della patria hai suoi diritti, vedi Antigone. Dunque si volle creare un cimitero per dir così, privo di retorica, come sì conviene alla parte sconfitta; e i suoi realizzatori furono due grandi, l’architetto Dieter Oesterlen e il paesaggista Walter Rossow. Una collina della zona, brulla, scos cesa,non adatta alla coltivazione, fu acquistata e totalmente ristrutturata. Sulla cima Oesterlen collocò, sotto la misteriosa “vela” di pietra, una specie di casamatta appiattita sul terreno, anch’essa di mattoni scuri, una specie di rifugio quasi senza finestre, con un lungo muro circolare, sempre di grezzi mattoni di arenaria. Questo circonda l’edificio e poi si allunga in una spirale cingendo i fianchi del colle, sui pendii del quale giacciono sottoterra i caduti disposti in settori delimitati di dimensioni variabili. I piani sono in discesa, non ripida, e le lapidi, quadrate, sono deposte sul suolo. Non ci sono elementi verticali. Le file sono ordinate, distanti un paio di metri le une dalle altre, e sotto ciascuna lapide riposano affratellati due soldati, molti assai giovani, di cui sono incisi nomi, date e rango. Ordinatamente sparsi come sono, non ci si rende conto del loro numero: 30.683 in tutto.
Su questi pendii e lungo i muretti che delimitano gli appezzamenti il si-lenzio è rotto solo dal vento o dalle cicale. Non arrivano rumori umani, il colore dominante è il verde tranquillo del prato dall’erba tagliata molto corta. In basso, qua e là, alberi. Da nessuna parte insegne, bandiere, simboli; qualche croce c’è, ma di pietra scura, addossata in altorilievo contro il muro, dunque non svettante. L’impressione generale è di irrealtà. Un paese popolato solo dí lapidi posate per terra, dominato da una costruzione che chissà, forse è stata chiesa, forse roccaforte, ma che ora non è né l’una né l’altra. Tutto è immobile e muto.Se si é costretti a rimanerci per un po’, ci si deve arrendere a un senso di pace, ma è una pace sottilmente inquietante.
CAPIRE GLI SCONFITTI
Qui dunque archiviozeta colloca í suoi spettacoli, e che avesse le idee chiare sul rapporto che intendeva creare con il luogo lo mostra già la scelta del primo, ormai nel lontano 2003: I persiani di Eschilo, come dire il più antico, sublime tentativo di comp rendere non le ragioni,ma l’umanità del nemico sconfitto. E tramite i greci, passando per Shakespeare fino a Pasolini e ad altri, l’ensemble fondato e tuttora diretto da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni ha indotto molti spettatori a misurarsi con questa città di morti i cui occupanti, terminata la generazione di congiunti e poi di discendenti che venivano a render loro omaggio, sembrano sempre più lontani. Ades so questa collina è nella Storia. E mai un titolo le si è adattato meglio di quello dell’ultimo spettacolo che ospita, con repliche previste fino al 28 agosto: La montagna incantata, terza e conclusiva p arte di un adattamento del capolavoro di Thomas Marra messo in scena inizialmente a Bologna. Seguendo una prassi imposta dai vasti spazi all’aperto, con pubblico indotto a spostarsi in più zone e quindi scarsa possibilità di fare ascoltare dialoghi articolati, del dettato originale restano solo alcuni momenti significativi. E in carattere col senso di malinco nia m anniana per l’inutile, insensata distruzione verso la quale l’Europa civilizzata si avviava e sulla quale, questo luogo continua sommessamente a ripetere, non ha mai veramente scritto la parola fine.
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