La profezia di Kraus e la fine del mondo al Passo della Futa
06/08/2014
la Repubblica
Paolo Russo
Gli ultimi giorni dell’umanità
Nel centenario della Grande Guerra la compagnia Archivio Zeta porta al cimitero germanico il testo del drammaturgo austriaco
Ho scritto una tragedia il cui eroe soccombente è l’umanità». Così il ricco ebreo viennese convertito, l’aristocratico conservatore fattosi democratico e repubblicano, il vetriolesco fustigatore della corruzione asburgica e del nascente impero dei media, l’amico e sodale delle migliori menti d’allora (Loos, Schoenberg, Wedekind, Kokoschka, Wilde, Trakl e Strindberg fra quelle; Canetti e Benjamin ne furono ammiratori ed esegeti devoti), il conferenziere di successo,chiosavale792pagine(eraquella l’epoca di formidabili testi-monstre conficcati nelle viscere dei tempi: Joyce, Musil, Mann, in seguito Canetti) di quel testo teatrale finito nel ’22 e, fino a Ronconi, che lo allestì al Lingotto nel 1999, ritenuto irrapresentabile. Nel quale Kraus riversò tecniche e intuizioni delle avanguardie, senza esser mai stato parte né di quelle né d’altro.
Ne Gli ultimi giorni quel titanico sciamano,come Céline inorridito dalla sanguinaria stupidità della guerra, impiega infatti strumenti modernissimi: dall’object trouvé al decoupage e il montaggio cinematografico, applicati alle infinite e disparate fonti dei materiali per il suo apocalittico ma certo non integrato, né integrabile, capolavoro; dalla simultaneità e molteplicità di prospettive della narrazione alla conseguente perdita di qualsiasi centro, figlia della tensione a riversare il mondo tutto in quella Cappella Sistina dell’umana autodistruzione. Che la molto indipendente compagnia Archivio Zeta, fondata nel 1999 dai registi e attori Enrica Sangiovanni e Giancarlo Guidotti nel segno di un teatro di parola forte quanto problematico, riprende ora (fino 17) nel Cimitero militare germanico della Futa, dove dal 2005 mette in scena d’estate Eschilo e Sofocle. Mentre il resto dell’anno, oltre ad animare laboratori e corsi universitari, percorre la penisola portando spettacoli per bambini, Primo Levi, Bernhard, Ibsen e Omero in luoghi quasi mai deputati. «È stato inevitabile racconta Guidotti coinvolgere il nostro maestro Ronconi, è stato l’unico a mettere in scena il testo: è sua la voce registrata che attraversa lo spettacolo. Dopo dieci anni di tragici greci al Cimitero, volevamo una parola altrettanto forte e alta per reggere il confronto col luogo. Il testo non è irrapresentabile: è solo un enorme contenitore nel quale Kraus ha convogliato le tantissime voci dell’epoca captate dalle sue antenne. Abbiamo provato a ricostruire quell’immenso coro, siamo in dieci, ognuno fa più parti, con una drammaturgia itinerante, dall’assassinio di Sarajevo alla Vienna nazionalista che, nella zona bassa del luogo, si prepara al gran macello, dalle trincee all’apocalisse che nel quinto atto prende la forma di autentiche visioni circa la fine dell’umanità. Una profezia su tutte le guerre a venire, che già riflette sull’abuso delle immagini oggi così normale, a partire dalla sbornia mediatica e propagandistica degli austriaci per l’esecuzione di Battisti. Grazie a una ricerca fra archivi e antiquari, abbiamo usato giornali dell’epoca, copie di Die Fackel, il trimestrale dell’autore, e 33 giri di ottima qualità di discorsi, letture radio dagli “Ultimi giorni” e canzoni anti stampa del Kraus fine anni Venti: pare che dal vivo lo abbia ascoltato pure Hitler, e quando fu al potere lo stesso Kraus cessò di parlare in pubblico, terrorizzato dalla somiglianza della sua oratoria con quella del führer. Nel nostro lavoro lo spettatore deve guadagnarsi il suo punto di vista: in questo ci aiuta la natura infernale del luogo, abitato dai fantasmi dei nostri nemici per definizione, che impone una riflessione su storia e memoria. A partire dall’invettiva di Kraus contro i morti, cui chiede “perché non vi siete ribellati?”, che noi rivolgiamo alle tombe vere dei morti “cattivi” e veri».
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