L’Iliade al modo degli antichi aedi
Lorenzo Parolin | 27/07/2009 | Il Giornale di Vicenza
FORTI IN SCENA. NEI PRESSI DEL CIMITERO DI GUERRA DI ROANA UNA ORIGINALE PROVA DELLA COMPAGNIA TOSCANA
L’Iliade al modo degli antichi aedi
La compagnia Archivio-Zeta racconta Omero con fedeltà
Lorenzo Parolin
ROANA
Così rispettosi del dettato e delle atmosfere omeriche, da apparire d’avanguardia: nelle vesti di attori-aedi, entro il festival “Forti in scena” i toscani della compagnia Archivio Zeta (Andrea Sangiovanni-Achille, Luciano Ardiccioni-Priamo, Alfredo Puccetti-Efesto e gli attori-registi Enrica Sangiovanni-Teti e Gianluca Guidotti-Ettore) hanno proposto domenica al cimitero inglese di Roana di val Magnaboschi, “Iliade, i fiumi parlano la tragedia della guerra”.
In una radura divenuta per un pomeriggio “orecchio di Dioniso”, non lontana dall’ area cimiteriale italo-austroinglese, cinque scene (fabbricazione, duello, riscatto, compianto, sepoltura) hanno ripercorso altrettanti libri dell’Iliade, seguendo fedelmente la traduzione a firma di Rosa Calzecchi Onesti.
Semplice e intelligente al tempo stesso l’idea che ha guidato l’allestimento: riproporre il più fedelmente possibile le condizioni dei cantori di età omerica o protoclassica. Ecco dunque l’orario, la collocazione in uno scenario naturale, l’azione ridotta all’essenziale, gli attori chiamati a interpretare più parti e la narrazione in terza persona, per uno spettacolo non solo da vedere o da ascoltare, ma da percepire, brezza di montagna, rumori del bosco e sole pomeridiano
compresi. Finezza conclusiva, gli attori indossavano abiti neri, in una sorta di citazione, su sfondo quasi monocromatico, delle decorazioni su ceramica che hanno tramandato le fattezze dei protagonisti di Iliade e Odissea: la scelta è emersa solo a fine rappresentazione e probabilmente, a fronte di un pubblico non specialista, una breve introduzione allo spettacolo avrebbe aiutato la fruizione.
Certo, in un luogo che nel fine settimana raccoglie un buon numero di villeggianti, dediti più al picnic che agli eroi omerici, chi attendeva una rappresentazione di stampo vacanziero si è trovato a doversi impegnare su più fronti, dall’emotivo, all’intellettivo allo storico-filologico, con qualche abbandono del parterre a rappresentazione iniziata. Per quanti, tuttavia, hanno superato i minuti iniziali dell’ekphrasis (liberamente, “descrizione minuziosa fin nei particolari”) delle armi di Achille, è andato a svilupparsi uno spettacolo in crescendo, capace di restituire una ricca immagine d’insieme della narrazione omerica e dei personaggi che la compongono, ben lontana dal modello liceale cui generalmente si associano l’Iliade e l’Odissea.
Al pubblico, sugli applausi finali, è andato idealmente il compito di rielaborare il tema proposto da Forti in scena: “la tragedia della guerra”.
“Tragedia”, cioè sofferenza per lo scarto tra aspirazioni e realtà, è un termine sconosciuto ad Omero, ai suoi personaggi, agli dei che intervengono nei destini degli uomini.
C’è stata, invece, la brutalità di una guerra, nella quale una pietà fragile ha trovato spazio solo nelle battute finali di fronte all’umiliazione di Priamo: questo sì, davvero omerico. Rispettosi fino in fondo gli aedi di Archivio Zeta. E bravi.