La vita indistruttibile di Dioniso in Baccanti di ArchivioZeta
Sotera Fornaro | 06/04/2024 | Visioni del tragico
In Macedonia, tra gli edifici della città antica di Pella, che fu capitale dell’impero di Filippo II e del figlio Alessandro Magno, c’è una casa conosciuta con il nome di ‘casa di Dioniso’, il cui pavimento era adorno di lussuosi mosaici che ora si possono ammirare nel Museo archeologico del sito.
In uno di essi, il dio cavalca una pantera, tenendo in mano un tirso che sembra fendere l’aria; la giovane figura campeggia nel vuoto e, come in volo, si proietta verso l’infinito, in una dimensione di eterna e indifferente felicità. Il dio appare luminoso e perfetto, in simbiosi con l’animale che abbraccia al collo. Sia il dio sia l’animale, di profilo, volgono lo sguardo verso un altrove inaccessibile agli uomini. In questo mosaico, Dioniso non è il dio folle né ebbro, ma un dio composto, padrone di sé e della natura selvaggia, da lui domata e guidata verso un altrove beato.
Altri mosaici della stessa casa raccontano scene di caccia, ma senza la violenza dello spargimento di sangue né la tensione della fatica: nelle raffigurazioni, uomini e animali sembrano anzi guardarsi complici, danzare insieme, in un movimento armonico che vince la morte eternando l’attimo che la precede, fissando l’intensità e la bellezza della vita nel momento in cui sta per finire. Vincere la morte, eternando la vita, i suoi oggetti, le sue atmosfere quotidiane, i suoi riti: lo stesso scopo si persegue nelle tombe di Verghina, una cinquantina di chilometri a sud di Pella, un complesso sepolcrale scoperto solo verso la fine degli Anni Settanta del secolo scorso. La più splendida delle tombe è creduta essere la tomba di Filippo II.
In un ipogeo in cui si entra pervasi da un’inspiegabile serenità, la ‘tomba di Filippo’ ha un portale sontuoso, che introduce in una camera in cui la volta a botte simboleggia l’accoglienza del morto nel cosmo. Le pitture che celebrano la caccia commemorano lo statuto eroico di chi è qui sepolto e insieme ne eternano la vita negli attimi più coraggiosi e nel momento di maggior vigore fisico. Gli uomini cacciano cavalcando e così mostrano l’unione con l’animale, la vittoria sulle bestie feroci cacciate, le gerarchie dell’esistenza in simbiosi con la natura. Ma l’affresco in cui Ade sul carro veloce rapisce una disperata Persefone e, con un improvviso sferzare delle briglie, abbandona la luce per il buio, ricorda drammaticamente che non si sfugge alla volontà e alla forza degli dei. Di un uomo tanto valoroso e potente quale l’uomo sepolto nella ‘tomba di Filippo’ resta il ricordo della virtù e l’armatura splendida, preziosa, quasi un corpo eterno svuotato però di volontà e azione.
Alla corte macedone trascorse gli ultimi anni della sua vita Euripide, quando scrisse Baccanti, e in quei luoghi si sono recati Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, le due anime di ArchivioZeta, che hanno ricordato questo loro viaggio nell’incontro con la compagnia insieme a Massimo Fusillo che si è tenuto al termine della prima di Baccanti, il 5 aprile, nella ex Chiesa di San Mattia a Bologna.
Non so se sia esatto dire che gli ArchivioZeta abbiano cercato ispirazione lì dove Euripide ha scritto la sua ultima tragedia, ma certo quei luoghi riescono a suggerire ancora, con inaudita potenza emotiva, il desiderio e il sogno di una dinastia di superare i limiti dell’umano, di porsi sullo stesso piano degli dei, di conquistare il mondo e se possibile il cosmo intero. Con Baccanti, Euripide dette forma anche a quel sogno, interrogandosi su come l’uomo possa difendersi dalla paura della morte. Perché una cosa è certa: per quanto possa essere tenuta a distanza dall’arte o dallo splendore che ancora emanano le rovine del palazzo e della città regale di Pella, la morte infine vince tutto, avvolge con la sua oscurità ogni ambizione e lascia nell’incertezza ogni speranza e ogni fede.
Il desiderio di vincere l’angoscia della morte: anche questo simboleggia Dioniso e in particolare il Dioniso delle Baccanti. Un dio che chiede illimitata fiducia e sottomissione cieca in cambio di una possibile rinascita. Ma anche un signore di illusioni, che non offre alcuna garanzia. Nessuno sa se la sua promessa di felicità eterna, del superamento del dolore terreno in vista di una beatitudine più duratura, sarà poi realmente esaudita. Senza questa speranza, senza il desiderio di superare i propri limiti, l’uomo è nulla. E perciò si abbandona al dio, dimentico di ogni pena, in preda a un vivido sogno, come – nella tragedia euripidea – fanno Cadmo e Tiresia.
Così le Baccanti a cui abbiamo assistito nella cornice della Chiesa sconsacrata di San Mattia sono molto di più che una messa in scena della tragedia di Euripide, il cui testo serve quasi da oratorio, da parola sacra per un rito che celebrando la morte e la distruzione vuole invece enfatizzare la vita nella sua infinita varietà, ossia il dio come simbolo della ‘vita indistruttibile’ secondo l’interpretazione che ne dette il grande mitologo Karl Kérenyi. Lo spazio religioso nella ex chiesa di San Mattia è anche illusionistico: non solo perché negli affreschi superstiti si usa il trompe l’oeil per aprirsi ad altri ambienti e mondi, ma anche perché la storia si è sedimentata in questa chiesa, lasciando echi e atmosfere di usi molto differenti da quelli sacri.
Perciò in uno spazio reso ibrido dalla storia, Dioniso può più facilmente mostrarsi come dio polimorfo, dai molteplici volti, dalle molte braccia e dalle mani tentacolari, come un idolo orientale ermafrodita, come Śiva. E mi si permetta una nota erudita: l’analogia tra i culti di Dioniso, specie quelli che conosciamo dalla tarda antichità già cristiana, e i culti orientali e indiani soprattutto, permise che nascesse all’inizio dell’ Ottocento un’idea di ‘dionisismo’ come categoria dello spirito, indipendente dalla realtà storica, che si immerge nel disordine e nel caos per fondare un nuovo ordine, mettendo a nudo le oscurità dell’inconscio e le potenzialità del delirio orgiastico, la creatività della follia. Non fu Friedrich Nietzsche il primo a esplorare il dionisismo ma un professore di filologia classica ad Heidelberg, oggi oscuro, Friedrich Creuzer, ambizioso autore di una monumentale storia dell’uso dei simboli in tutte le religioni antiche.
La riflessione su Baccanti di ArchivioZeta si fa consapevole erede anche di questa linea storico-religiosa. Qui Dioniso manifesta il suo polimorfismo: può mostrarsi vecchio e giovane, comico e tragico, nella sua smodata capacità di ridere e nella sua serietà che squarcia gli abissi della follia. Qui può svelarsi maschio e femmina, figlio e madre, re e schiavo, dio e animale. Qui Dioniso si dichiara principio vitale che tutto avvolge e feconda; qui soprattutto la nostra idea del tempo si rivela inutile: perché non c’è un prima e un dopo, non un inizio e una fine, ma solo un instancabile, continuo movimento, una metamorfosi incessante nella quale bisogna immergersi senza coscienza di sé, del proprio corpo, del proprio io.
Le Baccanti, così rilette, sono il tentativo estremo di Euripide di immergersi in quel vortice – che è anche vortice della poesia e naturalmente del teatro ed è anche consolatorio rifugio ed esorcismo dell’angoscia. Sono una sfida gettata alla morte. Una danza estatica, come quella dei dervisci. Una danza di felicità irrefrenabile, come quando si festeggia la fine di una guerra o di una catastrofe, una danza che riesce a trasfigurare e a sovvertire il tempo: così il cieco Tiresia, nella messa in scena, balla Tico-Tico come un giovane soldato che può finalmente festeggiare la fine di una guerra; e il vecchio Cadmo ritrova le movenze del satiro e l’agilità della giovinezza. Una danza che è immersione nel labirinto della vita, dell’esperienza, della coscienza, della gioia, del dolore; un labirinto che purifica e rende nuovi.
Queste Baccanti, con i loro giochi di luce e di suoni, con i movimenti e i minimi gesti, che sanno camminare insieme alla parola, sono un invito a entrare nel labirinto, a passo di danza, senza paura. Ognuno, al centro del percorso, riuscirà a trovare qualcosa, a liberarsi o a perdersi.
Nota bibliografica: Karl Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, a cura di M. Kerény, Adephi (1976); Friedrich Creuzer, Dionysus, sive Commentationes academicae de rerum Bacchicarum Orphicarumque originibus et caussis, 1809 (https://books.google.it/books?id=KN8LRbC49NkC&newbks=1&newbks_redir=0&dq=friedrich+creuzer+dionysos&hl=it&source=gbs_navlinks_s); Friedrich Creuzer, Symbolik und Mythologie der alten Völker, besonders der Griechen, 1810-1822 (disponibile su google libri);