LA MONTAGNA INCANTATA SUGLI ORRORI DELLA STORIA

LA MONTAGNA INCANTATA: La scena iniziale. Foto di Franco Guardascione
LA MONTAGNA INCANTATA: La scena iniziale. Foto di Franco Guardascione

Emblematica rappresentazione di uno dei cucuzzoli più alti della Via degli Dei, tra Bologna e Firenze che per tutto il cammino vede croci disseminate ai lati dei sentieri e nei boschi, il cimitero germanico ci accoglie, in tipico gusto nordico, in un connubio di natura, vita e morte. Ed è esattamente qui, su questi ettari di terra che ancora urlano gli orrori della storia, che Archivio Zeta torna per il terzo anno consecutivo a consegnarci una storia di morte, malattia e guerra, concludendo così il progetto triennale proprio in occasione del centenario dalla pubblicazione del romanzo.

È LA GUERRA LA SMANIA DI TUTTO IL MONDO: LA MONTAGNA INCANTATA

Dissertazioni, giudizi e monologhi saettano nervosamente nell’atmosfera: ciò che traspare è l’irrefrenabile diffuso desiderio di guerra. È la guerra la smania di tutto il mondo. La guerra è stata da sempre foriera di spostamenti, migrazioni, trasformazioni sociali. Tra movimenti corporali sincroni, simmetrici e ripetuti all’infinito dal retrogusto di crudele dissimulazione di Cafè Muller di Pina Bausch, gesti non fortemente calzanti ma ossessivi, dalle lontane rimembranze di pizziche e tarante, accompagnati da atmosfere musicali anni Trenta, ci introducono per la terza e ultima volta al sanatorio di Mann. Impossibile non cogliere un riferimento ai corsi e ricorsi vichiani della Storia nei movimenti ripetuti degli attori: ogni moto è circolare e l’inaccessibile viene eroso fino a scomparire dai moti bellici e dagli eventi che si rincorrono in circolo; esattamente come la dicotomia tra monarchia e repubblica o tra fede e scienza, nei secoli ha accompagnato l’uomo. Forse bisogna uccidere il Dio Kronos per spezzare questa catena? Bisogna abbandonare gli orologi che cadono e si rompono e non usare i calendari? Il tempo si ferma come la sociologia delle sofferenze è ormai ferma.

LA MONTAGNA INCANTATA: LA CRISI INSANABILE

LA MONTAGNA INCANTATA, foto di scena Franco Guardascione
LA MONTAGNA INCANTATA, foto di scena Franco Guardascione

Ritroviamo Hans Castorp, interpretato dal bravo Giacomo Tamburini in mezzo ai personaggi che abbiamo imparato a conoscere, grazie al cast immutato di attori intensi e puntuali. Ritroviamo le questioni pruriginose sugli intrighi amorosi dentro al sanatorio, i litigiosi Lodovico Settembrini (Gianluca Guidotti), e Leo Naphta (Giuseppe Losacco) e i loro dibattiti filosofici sempre più accesi fino ad un tragico e profetico epilogo, ma la vita del sanatorio non è più la stessa. Il clima collettivo apre crepe in quell’oasi ovattata e rarefatta, quasi onirica delle precedenti edizioni: la storia infatti accelera verso un cambiamento inevitabile, di cui si fa sorprendente correlativo il suicidio inaspettato di Leo Naphta che, coinvolto in un assurdo duello armato con Settembrini, mostra l’insanabilità della crisi ideologica, morale, personale di un’epoca che è giunta sull’orlo del suo baratro. Lo scoppio del primo conflitto mondiale spacca la montagna e risucchia verso il basso la vita di Castorp che si abbandona al flusso, con la stessa sbigottita atonia con cui ha lasciato che la sua vita restasse impigliata per sette anni nel sanatorio nel quale era giunto, la prima volta, come visitatore sano. La guerra lo trasforma in uno dei tanti volti senza nome di cui il destino si perderà nella fiumana della storia, portando con sé la memoria struggente di quello che la montagna rappresentava al suono di una melodia canticchiata tra gli alberi.

LA MONTAGNA INCANTATA: LA CULTURA CONTRO L’ORRORE

LA MONTAGNA INCANTATA, Cimitero militare Germanico. Foto di scena Franco Guardascione
LA MONTAGNA INCANTATA, Cimitero militare Germanico.
Foto di scena Franco Guardascione

In questa edizione finale della trilogia di Archivio Zeta siamo accompagnati in un viaggio speculare a quello che, per la prima volta ci aveva introdotti alla Montagna. Eravamo entrati insieme a Castorp, salendo il percorso che portava al sanatorio e ne avevamo esplorato gli anfratti e i panorami, grazie alla regia di quadri, immagini, coreografie capaci di evocare un mondo perduto con nostalgia e ironia al tempo stesso. Questa volta siamo anche noi a scendere dalla Montagna come se essa e tutto il suo mondo franasse a valle e condotti a commemorare i morti di tutte le guerre insieme agli attori stessi che fanno proprio un appello perché prima o poi sulle vicende umane trionfi l’amore.

LE BATTUTE FINALI DRITTE AL CUORE E ALLA TESTA

Una voce nuova ci segue in questa discesa, la voce stessa dell’autore Thomas Mann, interpretato dal poliedrico Andrea Maffetti che sembra voler portare per mano la sua opera fino all’epilogo, ricordandoci il potere fragile e al tempo stesso eterno della cultura che si oppone all’orrore col solo fatto di esserci, di commuovere, di rivelare, di unire le persone attorno ad una storia. Forse la guerra è ancora paradossalmente l’unico strumento a noi conosciuto per risvegliare il senso di umanità. Sulle battute finali degli attori, le cui voci calde, potenti senza mai eccessi retorici, capaci, nonostante il luogo aperto di arrivare dritte al cuore e alla testa, ci sentiamo anche noi timide ombre allungate da un sole ormai pronto al tramonto, arruolati in una lotta incessante che non lascia tregua al mondo e rende amaramente attuale questa storia centenaria. Salutiamo commossi Castorp che corre verso l’orizzonte: “Che tu sia vivo o che tu muoia, addio”.

Visto il 27 luglio al Cimitero militare germanico del passo della Futa FI