È ancora buio quando inizia l’Iliade di Archivio Zeta, al Bologna War Cemetery all’inizio della città, a est. La luce ancora pallida dell’aurora coglierà la fine del primo episodio della Maratona tratta dagli ultimi libri del Poema di omero. Con un concerto di cicale che risponde al clarinetto basso. Alle 8.30 vedremo il secondo episodio e, mentre scrivo, domenica 9 luglio, mattina, restano i due atti finali, che avverranno al tramonto sul fiume Reno, dall’altra parte, a ovest, alla fine dell’asse romano della via Emilia che attraversa Bologna. Questa che leggete è una prima cronaca quasi in diretta.
Fabbricazione dello scudo di Achille – Bologna War Cemetery, ore 4.30
Buio. Cipressi. Qualche lapide in lontananza. Un’edicola che introduce nello spazio dove sono sepolti i caduti del Commonwealth durante la Seconda guerra mondiale. Un attore, Gianluca Guidotti, inizia il prologo: alcune frasi da Iliade o il poema della forza di Simone Weil, saggio pubblicato nel 1943, quando un’altra ecatombe stava insanguinando il mondo. L’Iliade come poema dell’amarezza e della tenerezza che ne scaturisce. Nessuno è al di sopra o al di sotto della condizione umana, uguali sono vincitori e vinti. Un suono di clarinetto basso e inizia la storia di Achille che dopo la morte dell’amico Patroclo torna a combattere e la madre, Enrica Sangiovanni, una figura nera come una pizia, che scava il buio con una lanterna, chiede a Efesto (Alfredo Puccetti), il dio del fuoco, nuove armi. Si sente un battere metallico.
Ci spostiamo oltre l’ingresso tra due sezioni di lapidi. Gli attori e i musicisti stanno nel prato centrale, noi addossati alle pietre tombali, dalle due parti. Il racconto dello scudo di Achille decorato con il cosmo e il mondo, con scene di pace che celano il conflitto e scene di guerra e violenza con isole di pace. Gli attori rallentano, dilatano le parole, le frasi, vi si appoggiano, con quel loro stile caratteristico che in drammi più vicini a noi può sembrare artefatto e che qui trova tutte le sue ragioni. Perché questo declamato, insieme antico e modernissimo, è la vita dell’epico: come un’eco di fatti, cose, volti, nervi, tensioni, torsioni che ci devono apparire da un altro mondo, e che hanno bisogno di un ritmo quasi incantatorio per venire tra noi e rimandarci altrove, il quelle praterie e colli dove alberga, senza presente, senza futuro e perfino senza passato, la nostra fantasia, gli archetipi dell’immaginazione in cui specchiarci per ritrovare qualcosa di sepolto eppure vivo, di oscuro e luminoso, sempre presente futuro e passata.
Lo scudo, coerentemente, è un cerchio di metallo grezzo vuoto: attraverso di esso si vede il cielo albeggiante o il prato, qualche nuvola, le cime degli alberi e il cosmo. La violenza irrompe nelle scene che decorano l’arma che dovrà difendere l’eroe nelle sue stragi. Incrinatura. Amarezza. Danze, fiumi, animali, sangue, divoramento, tutto in quello scudo, nel cerchio che fa trapassare l’aria sottile.
E poi Achille si veste. Un volo di aironi, intorno. Grilli saltano tra gli spettatori. Un corvo gracchia. Macchine, in lontananza. Achile si solleva e si trasforma nel suo cavallo parlante Xanto, al quale la madre dell’eroe ha chiesto di salvare il figlio: lo salveremo, ma tra le stragi anche il giorno della sua morte si avvicina. I vincitori si trasformeranno in vinti, i vinti in vincitori, e tutte le passioni, la carne, il sangue, gli occhi belli diventeranno cose senza vita nel gran campo della morte. Il cavallo parlante è l’attore che faceva Achille (si passano i ruoli con un gesto, con un segno, con un oggetto, uomini, donne, dee e dei, narratore, animali, poi, vedremo, fiumi, cose, fuoco…). L’ombra della morte tramite la voce del cavallo nasce dall’interno dell’eroe, trasformato in macchina metallica, di guerra, fatta da tre attori. E si finisce, tra gli appalusi in controcanto alle cicale.
Fiume Scamandro. Policlinoco Sant’orsola, sotterranei, ore 8.30°
Dopo il cimitero, il luogo della sofferenza e della cura. Sotto alcuni padiglioni, in un corridoio percorso lungo le pareti da grandi tubi metallici. Ancora Simone Weil. La natura della forza di trasformare gli uomini in cose. Un sordo rumore. Il rimbombo dello Scamandro, il fiume di Troia. Avanti, verso un altro ambiente più grande: tubi, strisce gialle per terra. Un violoncello e un clarino. Achille mena strage di troiani, infuriato. Tanto che si leva, a contrastarlo, ugualmente furente, la voce del fiume stanco di trascinare sangue e cadaveri nei suoi gorghi profondi, di insozzare le sue amabili acque di corpi morti: “Mi fai orrore”.
La voce delle cose, in questo grande poema materico insieme e antropomorfo, che dona sentimenti a tutto e non sopporta la riduzione al silenzio inanimato definitivo. E quel rumore, non so se di impianti di areazione o se musica pensata, come le altre, da Patrizio Barontini: sordo rombo, sordo, continuo.
Achille sfida il fiume, lo combatte, mentre i nemici cercano la fuga. Scamandro chiama in soccorso l’altro corso di acque che bagna la terra dei Teucri, il fratello Simoenta: fermiamo l’uomo selvaggio. Ma quegli ha dalla sua gli dei, e Hera manda Efesto col fuoco a combattere le acque, e scatena procella e tutto si dissecca. Prima delle armi chimiche, prima delle armi atomiche, prima di tutte le insidie che abbiamo saputo costruire al bel mondo che ci circonda: distruzione, desolazione.
Finisce qui la parte seconda. Quando tacciono le belle, intense voci degli attori e dei musici di Archivio Zeta, rimane come un’aura in chi ascolta. Che viene restituita in forma di appaluso lungo, lunghissimo, quasi uno scrosciante abbraccio.
Stasera lel 18.30 davanti al Mst, in via Speranza 42, il duello tra Ettore e Achille e poi sul fiume reno, la restituzione e sepoltura di Ettore.
Si replica domenica 16. Info: 3349553640
Iliade, dal libro XVIII al XXIV del poema di Omero, traduzione Rosa Calzecchi Onesti, con conflagrazioni poetiche di Simoen Weil. Drammaturgia e regia Gianluca Guidotti, Enrica Sangiovanni. Musiche Patrizio Barontini. Aedi Enrica Sangiovanni, Gianluca Guidotti, Alfredo Puccetti, Luciano Ardiccioni. Percussioni Luca Ciriegi, violoncello Francesco Canfailla, fiati Gianluca Fortini. Organizzazione Luisa Costa. Produzione Archivio Zeta, nell’ambito di Best-Bologna Estate