Si approda a Pisticci per il LucaniaFilmFestival con il radio-walkshow “Tracce Maestre”, ripercorrendo i punti di vista di Visconti durante un suo sopralluogo lucano per un prologo a “Rocco e i suoi fratelli” mai realizzato. L’ultima “passeggiata” l’avevamo fatta a VolterraTeatro, seguendo l’happening urbano “La Ferita” di Archivio Zeta (qui sotto un report video di Marc-SuccoAcido , un post di Matteo-PAC e un’intervista di Emanuela-Traiettorie).
E’ proprio grazie ad Archivio Zeta che si rileva uno degli eventi più forti e sensati (sotto il segno del Centenario del Primo Conflitto Mondiale) di questa estate in corso: “Gli ultimi giorni dell’Umanità” al cimitero militare germanico del Passo della Futa. E’ uno straordinario “teatro di marte” quel cimitero militare in cui è stato ambientato il poderoso testo di Karl Kraus riletto da Archivio Zeta. Usò proprio quel termine, “teatro di marte”, Kraus quando, un anno dopo l’attentato di Sarajevo che scatenò la Prima Guerra Mondiale, scrisse una drammaturgia che rivelò, come un presagio, le condizioni fondanti del Nazismo, decenni prima del suo avvento. In quel sacrario, uno dei più grandi d’Europa, riposano 36.000 soldati tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, caduti lungo la linea gotica, un campo sterminato concepito come una spirale senza fine in un’architettura mirabile. Emozionante di per se’: teatro di marte, un luogo-monito contro la guerra. Seguiamo i performer tra le migliaia di tombe inscritte in quella geometria perturbante. Ci muoviamo continuamente risalendo la collina. Siamo in altezza appenninica, quasi mille metri.
Il tintinio al vento delle catenelle delle bandiere (italiana, tedesca ed europea) scandisce un suono ritmato che fa da colonna sonora, casuale ma di fatto componente della poetica “site specific” di un evento teatrale che contempla il contesto del Sacrario non solo come cornice scenografica ma come valore drammaturgico. L’architettura portentosa di quel cimitero che si sviluppa in una sorta di spirale ci avvolge nella sua aura di morte.
Un performer con un impianto di amplificazione “nomade” (simile a quelli che si usano in alcune processioni) diffonde sonorità e alla fine diffonde l’epilogo di Kraus letto da Luca R0nconi, una figura di riferimento per Archivio Zeta e regista della messinscena di un’importante edizione di “Ultimi giorni dell’umanità” nel 1990 a Torino. Fu inscenata al Lingotto, la fabbrica FIAT non ancora ristrutturata da Renzo Piano. Uno spazio interpretato come asse lineare di una catena di montaggio teatrale, inesorabile. Nel cimitero germanico Archivio Zeta trova il climax ideale: ci pervade l’immanenza mortale ed è solo grazie alla causticità di Kraus che si trova una misura di coscienza critica, come antidoto all’inerzia della guerra e a quella “banalità del male” in cui molti di quei soldati tedeschi si sono perduti. Ricordandoci quel paradosso per cui l’uomo è l’unico animale che lotta per la sua autodistruzione.