GLI ULTIMI GIORNI DELL’UMANITÀ: LO SPETTACOLO IN TRINCEA DI ARCHIVIO ZETA

Photo: Guido Mencari
Photo: Guido Mencari

Photo: Guido Mencari

Accalcati, vocianti: pubblico testimone e giudice della storia del mondo. Trepidanti, impazienti al cancello del foyer di questo teatro di guerra, o di quel che resta, del teatro e della guerra, al di qua, dalla parte giusta della Linea Gotica, tra sedicimila lapidi suddivise in settantadue settori, senza sipario, senza palco, senza spettatori, per vedere: niente.

Archivio Zeta mette in scena, con “Gli ultimi giorni dell’umanità”, una rappresentazione diretta, cruda, senza spettacolarizzazione, all’interno di una scenografia azzeccata e didascalica: finale svelato come la croce sull’altare che sovrasta il presepe a Natale.

Enrica Sangiovanni
e Gianluca Guidotti ci guidano, in processione nel Cimitero Militare Germanico, come durante una gita tra sconosciuti che socializzano, condividendo le colpe dell’ipocrisia che ci accomunano, in un percorso di scenografie che diventa scuola, piazza, trincea. Una trincea che lentamente riempiamo, come un nemico a testa alta, noncurante, immune e padrone della ragione e del torto, della vita e della morte di altri presenti e futuri.

Camminiamo da una scena all’altra in rispettoso silenzio, mentre lo spettacolo  si mantiene in perfetto equilibrio tra ridicolo e drammatico, tra apocalittico e quotidiano, una tensione palpabile, un’ironia che pervade la parola che diventa strillo, uno strillo fra le tombe che rimbomba nella nostra routine.

Ci portiamo un pezzetto di teatro dentro, tra un momento e l’altro dello spettacolo, ci portiamo le colpe e le distrazioni degli eventi del mondo che ignoriamo, consapevoli e ipocriti delle verità incise su ogni bara, in un crescendo di toni, di assurdo, di crudeltà che in un secolo non ha trovato soluzione.
Dovremmo forse ridere di questi avvenimenti, ma non è possibile neppure sorridere di questa realtà storica ancora attuale, una tragedia malvagia e affascinante che replica di piazza in piazza, senza pudore o inibizione.

L’unico modo che rimane di raccontare una guerra è allora ridicolizzarla, ritagliando titoli di giornali per rileggerli uno dopo l’altro, in un bar di paese, a criticoni e ottimisti.
Archivio Zeta ce li legge, questi giornali, fogli enormi dai titoloni, per farci vedere meglio, per farci sentire meglio, per mangiarci meglio.
E ci ritroviamo inghiottiti in una geometria surreale, ferita pietrificata in mezzo ai boschi, dodici ettari al sole che sono ombra sull’umanità intera, umanità ingiustificata e imperdonabile, senza via di scampo.

“Gli ultimi giorni dell’umanità” è uno spettacolo monumentale che avvolge di poesia il monumento sbagliato, di caduti di un’altra guerra, quella dopo, un’altra uguale, stessa drammaturgia, stesso finale. Ci attrae nel buco nero dell’imperialismo e delle sue contraddizioni nell’ora d’oro di una giornata meravigliosa.

Immagine perfetta di uno spettacolo senza tempo, lo spettacolo dovrebbe farsi itinerante per andare in scena in qualche altro paese i cui teatri sono più nuovi e moderni, per il gusto di ripetere sempre la stessa storia, per il gusto della provocazione: il teatrante che mette in scena sempre la stessa storia di mondo e il pubblico che si comporta sempre nello stesso modo. Al massimo applaude.

Gli ultimi giorni dell’umanità
di Karl Kraus
drammaturgia e regia: Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni
sonoro di Patrizio Barontini
con: Giulio Azzoguidi, Renata Carri, Antonia Guidotti, Elio Guidotti, Gianluca Guidotti, Tommaso Moncelli, Giulia Piazza, Alfredo Puccetti, Andrea Sangiovanni, Enrica Sangiovanni
voce registrata: Luca Ronconi
produzione: Archivio Zeta

applusi del pubblico: 3′

Visto al Passo della Futa (Barberino di Mugello – Firenze), Cimitero Militare Germanico, il 17 agosto 2014

stars-4_5