Eschilo (al tramonto)
Massimo Marino | 11/08/2011 | Corriere di Bologna
«Coefore», la tragedia della giustizia, va in scena fino a domenica Il luogo prescelto (al calar del sole) è il cimitero tedesco sulla Futa
Coefore» di Eschilo è la tragedia della giustizia che si trasforma in vendetta, della parola giustizia che significa vendetta. Siamo in un mondo barbarico, prima dei tribunali e dei processi, nel secondo tempo dell’unica trilogia completa arrivata dal mondo greco. Siamo nell’epoca dei clan, quando lo spirito del morto (in questo caso il re di Argo Agamennone, ucciso al ritorno dalla guerra di Troia) reclama sangue per il suo sangue versato. Questa cupa discesa in un mondo dove i valori sono diversi da quelli su cui si fonda la nostra polis si può vedere in un luogo eccezionale fino al 14 agosto, tutti i giorni a partire dalle 18 fino al tramonto. Dovete prenotare presso un gruppo teatrale fiorentino, Archivio Zeta, al 334/9553640.
Poi prendete la statale 65 o l’autostrada fino a Pian del Voglio, seguendo le indicazioni per il cimitero militare germanico del passo della Futa. Se non lo conoscete, l’impatto sarà sicuramente fortissimo. Questo monumento si arrampica su un pendio per dare riposo a 32.000 giovani soldati tedeschi caduti sulla Linea Gotica nell’ultimo conflitto mondiale. Realizzato tra il 1962 e il 1965 dall’architetto Dieter Oesterleen, dà l’idea di una spirale che sale senza fine per interrompersi all’improvviso, con un muro che si avvolge per duemila metri fino alla cima della montagna, circondando i sepolcri, semplici pietre senza simboli sistemate nella terra. Archivio Zeta dal 2003 ha avuto la felice intuizione di ambientarvi spettacoli, andando a recuperare la prima forma di rappresentazione apparsa in Occidente, quella tragedia greca che fonda il nostro teatro, che forma la nostra sensibilità culturale e politica.
Dall’anno scorso, con Agamennone, affidato per lo più ad attori non professionisti, senza amplificazioni, in un confronto diretto tra la parola e la scabra potenza del luogo, è iniziato un progetto dedicato alla trilogia di Eschilo, l’Orestea.
Dopo Coefore, l’anno prossimo sarà allestita Eumenidi, il finale, quando la vendetta viene sublimata dall’istituzione dei tribunali, e la colpa non è più causa di vendetta della stirpe, ma oggetto di giudizio (e pena) da parte della società.
Nel 2013 le tre tragedie dovrebbero essere rappresentate insieme, come si faceva nell’antichità.
«Stiamo cercando anche — ci spiega Gianluca Guidotti, insieme con Enrica Sangiovanni regista (e interprete) di Coefore un luogo per replicare gli spettacoli a Bologna, durante la stagione teatrale».
Il titolo si riferisce al coro, alle donne che portano offerte sacre sulla tomba del morto Agamennone, trucidato al ritorno da Troia dalla moglie e dall’amante di lei, Egisto, per vendicare delitti precedenti.
«Questa ci suggerisce Guidotti è una tragedia sinistra, che si apre con una macabra preghiera di vendetta, con le donne che evocano il morto come in una cerimonia vudù, perché si incarni nel vendicatore», nel figlio Oreste, antesignano di Amleto, che deve uccidere la madre assassina del padre.
«Abbiamo dato al testo una cupa concentrazione, tagliando qualcosa, facendo risuonare da subito le campane dell’omicidio. Abbiamo voluto rendere più comprensibile una tragedia che ha toni di sabba, privilegiando le immagini, ricreando una specie di rito». Agamennone si dipanava in quattro stazioni: qui ce ne sono solo due, in luoghi di forte evocazione. Il primo è la tomba del re, ricreata con un carretto in un declivio tra le vere pietre tombali. Il secondo rappresenta il palazzo della regina Clitemnestra, il centro del potere, ed è realizzato davanti al sacrario in pietra.
«Il cimitero – continua il regista – rende tutto più inquietante. In Agamennone non c’era un relazione così stretta tra scena e luogo. Qui le parole sono urlate a una terra che seppellisce morti. Richiamano la morte, la maledizione dei morti. E questo luogo scarno, senza orpelli, senza riferimenti ideologici, cimitero di guerra dei vinti che rispetta la natura intorno, i monti, il bosco ci sembra in grande armonia, con la sua imponente sobrietà. Andrebbe meglio conosciuto: per noi ha un solo equivalente, in Italia, nel cretto di Burri sulle rovine del terremoto di Gibellina».
Il coro è formato da donne, alcune molto giovani: indossano abiti a lutto che richiamano antichi costumi del nostro Sud, ma anche abbigliamenti islamici. La parola, centrale per i due registi, è accompagnata solo dal suono di Patrizo Barontini, eseguito dal vivo da Luca Ciriegi e Duccio Bonciani.
Massimo Marino