CON LE BACCANTI SUL MONTE CITERONE DI BOLOGNA
Saul Stucchi | 07/09/2023 | Alibi Online
Oggi, domenica 10 settembre, si terrà alla Villa Aldini di Bologna, l’ultima replica dello spettacolo Baccanti di Euripide della compagnia Archivio Zeta. Ne firmano drammaturgia e regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni che sono tra gli interpreti, attorniati dagli attori che in questa e nella precedente estate hanno messo in scena La montagna incantata di Thomas Mann al Cimitero Militare Germanico al Passo della Futa.
Che sia un ensemble molto affiatato l’avevo constatato a Ferragosto e ne ho avuto la conferma definitiva ieri sera, sulla collina bolognese con vista sulla metropoli che è insieme lontana e vicina, tanto che i suoi rumori di traffico e sirene arrivano fino in cima. Forse è un’annotazione meno banale di quanto non appaia a prima vista. Città (polis) e natura non sono entità separate, ciascuna sigillata nella propria realtà, ma sono in costante comunicazione e interscambio.
E alla fine dello spettacolo – da applausi: è valsa la traversata del piano padano per assistervi! – lo spettatore che scrive queste righe si è fatto l’idea che se in Baccanti si debba individuare (almeno) un “messaggio” è che il tragico consista nel non riconoscere – né tanto meno accettare – la complessità del reale, la dualità, l’altro, lo straniero, lo “strano”. Vale anche per la natura: né madre né matrigna, ma entrambe le cose, insieme.
Baccanti è la tragedia per eccellenza dello straniamento, del ribaltamento, dell’incontro e scontro di opzioni diverse. Guidotti e Sangiovanni hanno lavorato sulla tragedia di Euripide contaminandola – è il caso di dire – con “conflagrazioni poetiche” da Ovidio, Roberto Calasso, Giorgio Ieranò e Paolo Pecere.
Ciascun spettatore può fare altrettanto, durante e dopo lo spettacolo. Io, per esempio, pensavo alle parole udite giusto il giorno prima al Festivaletteratura di Mantova nella presentazione del libro Gesù, il re ribelle di Giulio Busi con l’autore e la pastora valdese Ilenya Goss, “moderati” da Alessandro Zaccuri, a proposito della regalità ribaltata di Gesù.
E proprio il Crocifisso domina la “scenografia” nello straordinario ambiente della chiesa romanica della Madonna del Monte, “La Rotonda”, dove viene rappresentato il primo episodio della tragedia. Le parole “questo sacro cerchio” non potrebbero essere più pertinenti altrove che in questo luogo che suscita molteplici suggestioni: dal battistero paleocristiano al pantheon pagano, passando per la tholos micenea e il bagno turco, senza naturalmente dimenticare la “O di legno” del Globe Theatre di Shakespeare.
Non meno ricco di rimandi è il timpano di Villa Aldini – con raffigurazioni di divinità olimpiche realizzate da Giacomo De Maria – che incombe sul prato in cui si svolge il secondo episodio. Uno spazio “civilizzato”, questo, con tanto di siepe a separarlo dalla natura del colle.
Al termine dello spettacolo Gianluca mi racconterà la fatica che ha comportato il suo recupero dopo anni di abbandono, mentre Giacomo Tamburini mi spiegherà che i fili elettrici che corrono lungo il perimetro servono a tenere lontani i cinghiali che altrimenti pascolerebbero indisturbati come gli armenti di Evandro in quello che sarebbe diventato il foro di Roma.
Dei tanti mescolamenti di cui è ricco questo allestimento di Baccanti non vanno trascurati gli inserti da commedia, come il balletto (un Charleston?) in cui s’impegnano Cadmo e Tiresia (Guidotti e Andrea Maffetti) e, più avanti, la scena dei tre pastori “marmittoni”. Ma i più ricchi di significati e spunti sono l’affidamento della parte di Penteo a un’attrice, la bravissima Diana Dardi (Euripide avrebbe apprezzato l’ironia di un Cadmo che mette in guardia questo Penteo ricordandogli la tragica fine di Atteone, trafitto dai dardi di Artemide/Diana!).
E poi lo sdoppiamento del personaggio di Dioniso, affidato a Pouria Jashn Tirgan e a Enrica Sangiovanni. Qui sono molteplici i mescolamenti: allo sdoppiamento, infatti, si aggiunge – oltre al doppio genere degli interpreti – la scelta di far interpretare la parte di uno straniero dalla pelle chiara e dai capelli biondi (e lunghi) a un attore nato in Iran. Il cortocircuito è presto servito, non appena Pouria / Dioniso recita: “ho attraversato le assolate pianure di Persia”. E le Baccanti sono impersonate da attori uomini (come peraltro nel teatro greco, e non solo, fino a tempi piuttosto recenti)…
Ma c’è ancora tanto altro. La musica (che rito bacchico sarebbe senza musica?) tra campanacci e flauto persiano duduk; il ruolo dei movimenti scenici curati da Giuditta de Concini; il mimetismo, il travestimento e il travestitismo, con tanto di cerimonia regale e presentazione alla “Ecce homo”; i riferimenti al tempo e all’attimo presente che non sfigurerebbero ne La montagna incantata; le allusioni alle reti; i disconoscimenti e i riconoscimenti post-trauma (l’ultima scena è davvero da brividi); il sapere che non è sapienza…
Evoè a queste Baccanti di Archivio Zeta! E chi è appena tornato dall’isola di Venere non può che concordare con il corifeo quando, in preda all’entusiasmo, esclama: “Voglio andare a Cipro!”.
Saul Stucchi
Foto di Franco Guardascione