Antigone sui colli
Paolo Rota | 09/08/2020 | Bologna Sipario
L’ “Antigone” di Sofocle ha sempre dato occasione a diverse chiavi di lettura: la rivolta contro la tirannide, il martirio per i propri ideali, la difesa di tutti coloro che a vario titolo sono considerati inferiori, la ricerca di una giustizia etica e non politica (ma può esistere una politica non etica?). Antigone è antagonista, vittima innocente, eroina in nome dei principi che regolano la civiltà e la famiglia.
Per questa ragione le riletture e gli adattamenti hanno trovato in questa tragedia un terreno fertilissimo.
E ora è la compagine di Archivio Zeta a riprovarci, dopo aver trasportato in città lo spettacolo che avrebbe dovuto avere luogo, come ogni estate, presso il Cimitero Militare Germanico della Futa.
Mai scelta di ambientazione è stata più azzeccata. La facciata neoclassica di Villa Aldini (sui colli, in via dell’Osservanza) è lo spazio scenico ideale per la vicenda tebana: i discorsi del tiranno Creonte pronunciati da una tribuna posta tra le altissime colonne, la piazza sabbiosa antistante, luogo dell’azione rituale di Antigone e del sommario processo ai suoi danni, la porta bassa con le inferriate, carcere e sepolcro della protagonista. Credo che tutto il pubblico presente , disposto di fronte, in modalità quasi anfi-teatrale, considererà a lungo questa come la più efficace “visione” di tale mito.
Poi ci sono le scelte operate dalla compagnia di Archivio Zeta. Teatro civile per eccellenza il loro, che diviene necessità di quelle parole che si fanno intervento sociale. Ecco dunque che il testo originale viene selezionato e arricchito da interventi, tra gli altri, di Pasolini e Brecht , alla ricerca di corrispondenze con il passato non poi tanto remoto del dominio nazi-fascista : “nacht und nebel” , sottotitolo dello spettacolo, sono i termini con i quali Hitler indicava la sorte di tutti gli annientati, “notte e nebbia”. Così come la contemporaneità esplode a più tratti durante lo spettacolo, con i rimandi ai corpi ignorati e poi insepolti dei migranti che tentano di attraversare il “mare nostrum” (ma anche ad altre bare non accompagnate…).
Ottima la regia nel gestire il movimento e l’utilizzo degli oggetti scenici da parte dei protagonisti nell’ampio spazio a disposizione, così come la “voce” data dai medesimi al testo classico nei momenti di maggiore intensità emotiva. Qualche perplessità esclusivamente sugli interventi canori nelle parole di Tiresia, così come sulle note di Charles Trenet scelte per il finale.