Alla Futa si chiude la trilogia della Montagna incantata

Saul Stucchi | 13/08/2024 | Alibi Online

Quella che state per leggere non è una recensione “normale”. Non lo è perché “normale” non è lo spettacolo a cui è riferita e al quale intende invitare il lettore, senza se né ma. Al Cimitero Militare Germanico al Passo della Futa, sull’Appennino tosco-emiliano a pochi chilometri da Firenzuola (FI) andrà in scena fino a domenica 18 agosto la terza e ultima parte de La montagna incantata di Thomas Mann nell’allestimento di Archivio Zeta. Si chiude così, nel centenario della pubblicazione del romanzo, il ciclo apertosi nel 2022.

Tante le sorprese nelle prime due parti e quest’ultima non poteva essere da meno. Quando hai a che fare con il Mago (questo il soprannome con cui in famiglia era chiamato lo scrittore) non puoi esimerti dal metterti alla prova con l’arte della magia. E ancora una volta Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, autori della drammaturgia e della regia, hanno vinto la sfida: a provarlo – se ce ne fosse bisogno, ma non c’è – la standing ovation che il pubblico tributa alla compagnia al termine della recita.

Andrea Maffetti come Thomas Mann ne "La montagna incantata" di Archivio Zeta. Foto di Franco Guardascione

Io ho avuto la fortuna di assistere alla rappresentazione di lunedì 12 agosto, una data speciale, ricorrenza dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, perpetrato dai soldati tedeschi giusto 80 anni fa. E questo episodio, insieme alla figura di Enrico Pieri, uno degli ultimi testimoni della strage, ha voluto ricordare Guidotti alla fine dello spettacolo.

TOMMY IL MAGO

Ma torniamo all’inizio, anzi a prima. Che non fosse uno spettacolo “normale” quello a cui avrei assistito lo sapevo già, ma ne ho avuto conferma quando ho incontrato in un bar ristorante della Futa – un po’ il Berghof del luogo – gli attori che l’anno scorso hanno interpretato lo strampalato olandese Peeperkorn, il mefistofelico Naphta e il protagonista Hans Castorp, ovvero Andrea MaffettiGiuseppe Losacco e Giacomo Tamburini. Un po’ mi sono stupito nel vedere Maffetti, tanto che avrei voluto chiedergli “Ma tu sei morto l’anno scorso, che ci fai ancora qui?!”.

L’avrei saputo un paio d’ore dopo, nel piccolo spiazzo davanti all’ingresso del cimitero, quando l’attore si è presentato in cima al muretto con tanto di cappello e sigaro (spento, per ovvie ragioni di sicurezza): ho subito capito che stava impersonando lui, l’autore. Ecco la prima trovata e l’unica che svelerò ai lettori.

In un “audace tradimento delle leggi dello spazio e del tempo” a Thomas – più che discreta la somiglianza con Andrea, complice il baffo malandrino – spetta il compito di introdurre questa terza parte, rievocando la genesi dell’opera, la cui scintilla brillò quando lo scrittore accompagnò la moglie malata in un sanatorio a Davos, in Svizzera. Era il 1912. In quell’ambiente esclusivo e insieme di reclusione Mann ha immaginato di ambientare la formazione – trasformazione del suo eroe a cura di due grandi maestri: Lodovico Settembrini e Leo Naptha, qui interpretati dai già citati Guidotti e Losacco.

Una scena della terza parte de "La montagna incantata" di Archivio Zeta. Foto di Franco Guardascione

E proprio questa terza parte è per lo più dedicata all’epico scontro tra i due per l’anima dell’ingenuo Hans, sfida retorica prima (una delle scene più belle dell’intera trilogia) e vero e proprio duello poi. Hans rimane in mezzo ai due, come uno spettatore di talk show sul divano di casa, così come più avanti – nella scena della slitta – siederà tra i due contendenti, padri putativi di un orfano.

SMANIA DI LITI

Ma la litigiosità non oppone soltanto i due pensatori: una smania di liti si è diffusa per l’intero sanatorio, come un virus, e ammorba gli ospiti, opponendo gli uni agli altri. Già qui possiamo leggervi una metafora della Grande Guerra che poi scoppierà.

Nel primo “quadro”, quello dedicato appunto all’epidemia di rissosità, constatiamo che in questa terza parte ha maggior peso la coreografia: gli interpreti si muovono in balletti attorno ai tavoli del ristorante. Anche la musica ha un ruolo molto importante, riprodotta da un’altoparlante o eseguita dal vivo al violoncello da Francesco Canfailla (senza contare il Lied di Schubert cantato dagli attori! Oltre a quelli già citati è doveroso menzionare Diana DardiAntonia Guidotti e Pouria Jashn Tirgan che nei primi due pannelli del trittico era stato il cugino Joachim).

Una scena de "La montagna incantata" di Archivio Zeta. In primo piano Pouria Jashn Tirgan. Foto di Franco Guardascione

A giocare di metafora ci si è messo anche il tempo, quello meteorologico: nubi nere si addensavano all’orizzonte, minacciose, ma solo due gocce sono cadute negli ultimi minuti. Raggi trasparenti bucavano le nuvole, come nei quadri dei secentisti. I rombi, invece, si sono fatti sentire in anticipo rispetto al tuono che nel romanzo sveglia il protagonista per annunciargli l’arrivo del momento della partenza. La sua discesa alle terre basse coinciderà con lo scoppio del conflitto.

Disincantato – ovvero sciolto dall’incantesimo che l’aveva tenuto prigioniero della montagna – e redento, Castorp è diventato uomo, pur rimanendo quello che era prima: né un genio, né uno stupidotto. “Combatti, caro Hans, combatti! Addio!” sono le parole con cui viene salutato mentre si allontana, in uniforme, sul crinale del cimitero.

PELLEGRINAGGIO

Prima dello spettacolo ho consultato per la prima volta da che vengo al cimitero i registri con i nomi dei soldati sepolti in Italia. Alla Futa non riposa nessun Hans Castorp e nemmeno un Joachim Ziemssen (il cugino che Hans va a trovare al Berghof). Ci sono invece un Heinrich Mann e un Paul Mann (Paul era il primo nome di battesimo di Thomas), due tra gli oltre trentamila soldati sepolti qui (quanti di loro – mi è venuto da chiedermi – avranno avuto il tempo di leggere il romanzo?).

Mai come quest’anno mi sono reso conto che lo spettacolo stagionale di Archivio Zeta al Cimitero Militare Germanico è per me – ma penso per molti altri spettatori – una sorta di pellegrinaggio, un’esperienza rituale collettiva. In particolare mi ha colpito veder scendere in fila indiana gli spettatori lungo uno dei vialetti del cimitero e osservare il bellissimo albero solitario nei pressi del quale Cainfailla suonava il violoncello in un altro dei momenti più intensi dello spettacolo.

Giuseppe Losacco, Giacomo Tamburini e Gianluca Guidotti ne "La montagna incantata". Foto di Franco Guardascione

Don Paolo Alliata scrive nel suo ultimo libro L’amore fa i miracoli (lo presenterò a Mezzago il 12 settembre alla ripresa del ciclo 12×12. Dodici incontri per un anno organizzato dagli Amici della Biblioteca), a proposito del romanzo Stoner di John Williams: “la grande letteratura è un invito a vivere davvero, è un sentiero che introduce all’avventura di diventare davvero vivi”. E mai come in un cimitero ci si sente vivi!

ARRIVEDERCI A BOLOGNA!

La montagna incantata – specie in questa parte finale – è un omaggio al sangue giovane di cui è impregnato l’Appennino. Mai come in questo allestimento è sottile ed evanescente il confine tra opera e cornice in cui viene presentata. Contribuisce anche la citazione da Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus che le ragazze dell’organizzazione portano sulla maglietta che indossano: “Per un’umanità che ritiene indispensabile per la vita che ci si ammazzi a vicenda, è indifferente il modo in cui si procede e la strage è la cosa più pratica”.

Questa terza deve essere stata per Sangiovanni e Guidotti la parte più difficile della trilogia, considerando che degli episodi più emblematici del romanzo rimaneva fuori praticamente il solo duello tra Settembrini e Naphta, ma il grande lavoro che hanno fatto in questi anni su Zauberberg ha permesso loro di estrarre dal cilindro lo spettacolo emotivamente più intenso e lirico, l’invito più pressante alla riflessione sul tempo, sulla vita e sulla morte.

E in chiusura, ad anello, torna il nostro amato Tommy il Mago, di cui sentiamo riecheggiare lungo i pendii della montagna la voce in uno degli appelli all’Europa trasmessi dalla BBC durante la guerra.
L’indomani l’avrei rivisto, incarnato da Maffetti, per le strade di Firenzuola, rispondere al mio saluto con un gesto della mano, come a dire: “Ci rivediamo il 22 e 23 marzo 2025 per la versione-maratona della Montagna incantata all’Arena del Sole di Bologna”.

PS per gli happy few: la pizza di Settembrini è LA pizza dell’estate 2024.