ALLA FUTA “LA MONTAGNA INCANTATA”: SECONDA PARTE
Saul Stucchi | 19/08/2023 | Alibi Online
“Mi sembra di essere stata qui ieri”, mi ha sussurrato all’orecchio l’editora di ALIBI entrando nel Cimitero Militare Germanico al Passo della Futa, il giorno di Ferragosto. Gli interpreti della seconda parte de La montagna incantata erano già in scena, con lo sguardo sulle alture che fanno da corona al camposanto.
Ero d’accordo con lei: ritrovando gli attori nei costumi della prima parte, rappresentata la scorsa estate, ho provato anch’io la sensazione che l’anno intercorso tra i due spettacoli si fosse assottigliato e concentrato in un solo giorno. E a chiudere il cortocircuito è stata la battuta iniziale: “Che cos’è il tempo? Un mistero irreale e potente…”. Così prende avvio il “ritorno” all’Hotel Berghof, al ritmo cadenzato di metronomi elettronici.
Un anno come un giorno, un giorno come un anno: il mistero del tempo. Ecco il cuore del romanzo che Thomas Mann pubblicò nel 1924. L’anno prossimo, dunque, ricorrerà il centenario della pubblicazione e la compagnia Archivio Zeta celebrerà la ricorrenza portando in scena la rappresentazione dell’intera opera. A sorpresa, la seconda parte non arriva alla conclusione del libro: rimane infatti fuori l’epilogo. Come ci hanno raccontato Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti al termine della recita, giungere fino alla conclusione avrebbe significato sforare il limite delle due ore che si sono imposti.
Chi, come noi, ha visto la prima parte, non avrà l’effetto sorpresa, ma ritroverà il gruppo ancora più affiatato e ciascun interprete ancor meglio e più a fondo calato nella propria parte (o parti). Che spettacolo, nell’insieme e nelle singole componenti, come una sinfonia eseguita con maestria e passione! E il paragone musicale è tutt’altro che casuale…
La musica è infatti una delle colonne portanti del romanzo e, qui, dello spettacolo. Tempo, musica, amore e morte. Ecco gli ingredienti con cui Mann ha impastato il suo capolavoro (uno dei suoi). Enrica e Gianluca ci lavorano da molti mesi, immagino prima analizzando i temi uno per uno e poi cercando il modo di ricreare in scena la magica (e incantata) alchimia con cui Mann li mescola nel romanzo.
Dalla Montagna di carta a quella di terra tanti sono i cambiamenti, ma lo spirito è fedelmente preservato e restituito nella sua essenza più pura. E questa operazione non sarebbe possibile se Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, autori della drammaturgia e della regia (nonché interpreti, lei come Madame Chauchat, lui come l’umanista Lodovico Settembrini), non amassero profondamente e altrettanto non conoscessero il romanzo.
Dicevo poco più sopra che nella Montagna 2 mancano le sorprese. Devo rettificare: in realtà anche in questa seconda parte non sono poche le trovate (invenzioni e tecnica sono merito di Andrea Sangiovanni) che punteggiano lo spettacolo. Per non rivelare troppo mi limito a menzionare gli sci del protagonista Hans Castorp (Giacomo Tamburini dà una bella prova di doti da equilibrista!) e il grammofono (a cui presta la voce Omar Giorgio Makhloufi). Francesco Canfailla al violoncello interviene a far da contrappunto ai momenti più intensi o ai cambi di scena (la partitura musicale è stata curata da Patrizio Barontini), ma funge anche da telegrafista servendosi di nacchere…
È rimandato all’anno prossimo il duello finale tra Settembrini e il gesuita Naphta, ma le schermaglie tra loro formano la rete che regge lo spettacolo. Guidotti e Giuseppe Losacco – un Naphta mefistofelico con tanto di spalla rialzata che somiglia a Nicolas Cage – si spostano tra le lapidi dei caduti come pedine su una scacchiera.
Se non temessi di scivolare nel ridicolo e non solo nell’errore, leggerei nei colori dei quattro “giocatori” (Settembrini e Naphta che si contendono le anime dei due cugini Hans e Joachim) un messaggio. La tinta unita di Naphta (nero) e di Joachim (bianco) è simbolo di morte, mentre Settembrini e Castorp, in completi spezzati, simboleggiano il mescolamento, indispensabile alla vita. Più che probabile che la mia sia una sovrainterpretazione, ma comunque la cosa mi ha fatto riflettere. Così, per esempio, mi sono ritrovato a pensare che, pur sentendomi più vicino alle posizioni di Settembrini, non ho difficoltà a riconoscere che Naphta mette a segno diversi colpi.
Tante sono le suggestioni che questa seconda parte, come la prima, provocano negli spettatori, le cui ombre sono proiettate sulle lapidi davanti a loro. Questa volta non mi ha colpito la giovanissima età dei caduti, ma trovare alcune date di nascita di fine Ottocento, dunque di uomini che avevano fatto in tempo a vedere tutta la parabola del nazismo.
Nell’atmosfera di morte che aleggia sul Berghof fa riflettere il cieco e vano entusiasmo con cui il povero Joachim (Pouria Jashn Tirgan) anela a e finalmente ottiene il ritorno alla pianura. E poi la rebellio carnis e il simposio come rito funebre: Andrea Maffetti come l’olandese Mynheer Peeperkorn è strabiliante. Chissà che cosa pensava mentre recitava i suoi farfuglianti monologhi con la coppa di vino in mano e il viso rivolto al sole che tramontava… Qui, a rinforzare la suggestione, ha contribuito la nostra visita al Museo Nazionale Etrusco di Marzabotto, compiuta solo qualche ora prima dello spettacolo. E ancora la tempesta di neve che sorprende Hans e il sogno con la sovrapposizione tra Clavdia e il giovane Hippe. E poi la seduta spiritica con l’altrettanto strabiliante Diana Dardi come Ellen Brand.
Si chiude oggi, domenica 20 agosto, la seconda tappa de La montagna incantata di Archivio Zeta al Cimitero Militare Germanico. Prima di ritrovarsi nell’estate del 2024 al Passo della Futa, l’appuntamento con la compagnia è al weekend del 9 e 10 settembre con le ultime recite delle Baccanti di Euripide alla Villa Aldini di Bologna. Dieci giorni dopo, il 19 e il 20 settembre, alla Risiera di San Sabba a Trieste ci saranno due rappresentazioni speciali de La notte di Elie Wiesel (informazioni sul sito della compagnia).
Il centenario della pubblicazione di Zauberberg sarebbe l’occasione migliore per vedere La montagna incantata in giro per l’Italia, a cominciare magari da Milano.
Saul Stucchi
Foto di Franco Guardascione