Teatri naturali della memoria
Massimo Marino | 04/03/2021 | Doppiozero
Lapidi, cippi, pietre memoriali, monumenti o ruderi, rovine, resti, che una volta furono focolari di vite e ora testimoniano la furia. Intorno la natura, con i suoi cicli, col suo continuo rinnovarsi che sembra coprire, smemorare, l’orrore.
Il libro, Nidi di ragno, questa volta non si sfoglia: si apre si moltiplica e si distende, per un viaggio nella memoria delle stragi nazifasciste e della Resistenza, là, nelle terre d’Emilia. È una scatola di cartone. Contiene tanti inserti ripiegati che documentano ognuno una tappa di un viaggio teatrale fatto principalmente nell’autunno del 2019 da Archivio Zeta tra Monte Sole, l’Appennino bolognese, la città di Bologna, il Modenese. Un viaggio a piedi, tra sentieri e strade di collina, boschi, vigneti, coltivi, in cerca delle tracce di fatti avvenuti ormai tanti anni fa, più di settantacinque, avvenimenti che ormai hanno lasciato pochi testimoni diretti e che tendono a svanire per oblio e per nuove furie ideologiche.
Allora è opportuno riflettere su quello che scrive una donna che a quelle ‘passeggiate’ in teatri naturali della memoria ha partecipato, la semiologa Patrizia Violi: “In Giappone non esistono monumenti e nemmeno templi o palazzi, fatti per durare. Anche gli edifici storici di grande valore artistico vengono ricostruiti ex novo molto frequentemente, sostituendo tutti i materiali originari”. Continua, sottolineando come questo non vuol dire disprezzo delle tradizioni, ma loro valorizzazione, rinnovamento: “Ogni generazione è portatrice di uno sguardo diverso che ci consente di, e ci costringe a, scoprire cose prima mai viste: le generazioni riscrivono il senso del passato, non diversamente da ciò che fa il lavoro della memoria. Forse sarebbe bello che anche per i monumenti fosse così”.
Uno strano libro, dunque
Un libro, ma anche un contenitore di ricordi vivi. I diversi inserti portano testimonianze di chi visse i tragici fatti del 1944-1945, ma anche brani di storici che riflettono su ciò che avvenne, e pure riproduzioni di quadri e pagine di letteratura di autori come Fëdor Dostoevskij, Romain Gary, Cesare Pavese, Italo Calvino, Elsa Morante, Franco Fortini. Memoria attiva ed emotiva, come l’impressionante riproduzione di due particolari della Strage degli innocenti di Giotto, in dialogo con la strage di donne, vecchi e bambini di Monte Sole per mano delle SS di Walter Reder, con un brano dai Fratelli Karamazov che si chiude con un MI RIFIUTERÒ DI ACCETTARLO, in caratteri maiuscoli, una reazione al male del mondo, quando anche questo fosse emendabile, rimediabile.
Il libro contiene anche le cartine dei percorsi svolti dalla compagnia bolognese, famosa per le riscritture di spettacoli classici nel Cimitero militare germanico della Futa (leggi qui, per esempio). Ogni tappa dei Nidi di ragno era una camminata con una quarantina di persone, accompagnata dalla musica, dall’offerta di pane cotto e sfornato caldo, laddove era possibile avere a disposizione un forno, e si concludeva con un fuoco finale (La luna e i falò di Pavese era una delle guide del progetto, come I sentieri dei nidi di ragno di Calvino dava il nome al progetto). Nel video che sintetizza l’esperienza si vedono boschi rossi, tappeti di foglie gialle, vigne che si vanno spogliando, strade tutte curve sotto cieli di piombo, monumenti di città che rimandano a un’altra fase del ricordo, gli anni sessanta e settanta, con la ripresa dei valori resistenziali in una società che, come la nostra oggi, aveva bisogno di un bagno nei fondamenti della nostra Repubblica, della nostra vita associata.
L’ultimo ‘capitolo’ è una grande mappa di scritti, testimonianze, fotografie, che, aperta, occupa un intero tavolo. Ricrea come un vortice il percorso svolto e richiama uno dei modelli di Archivio Zeta, l’Atlante di Mnemosyne di Aby Warbug, un viaggio comparativo nella memoria della persistenza di temi, motivi, forme nella storia dell’arte (e quindi della rappresentazione dell’umano agire patire sognare).
Ci dicono i due curatori, drammaturghi registi e attori della compagnia, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, marito e moglie con tre figli, una splendida impresa a conduzione familiare, una famiglia d’arte che non deflette mai dal coniugare il teatro con una visione etica, ideale: “Il volume è stato pensato come un contenitore, una custodia per raccogliere le dispense di un libro in divenire ma anche piccoli oggetti nei boschi, lungo i sentieri, una foglia un fiore un sasso un filo d’erba”. È una tela di ricordi storici ma anche di sensazioni personali, qualcosa che il lettore è chiamato a vivere e a ricostruire sulla base delle proprie esperienze. Ed è al contempo una ricognizione topografica, un’antologia letteraria sulla Resistenza, una riflessione sulla violenza, un viaggio poetico, storico, antropologico, educativo in compagnia di studiosi, artisti, testimoni, una guida e uno spazio di discussione. Ma è anche “un puzzle, varie mappe, tasselli, quasi come una mazzo di tarocchi: i diversi quadri possono essere composti e ricomposti diversamente, tanto da arrivare a creare un libro infinito”. Agisce, insomma, un po’ come la memoria e a questa vuole essere di stimolo e specchio.
Tracce di percorsi
Nidi di ragno è anche il diario di bordo di un viaggio. Partito da Monte Sole, tra i ruderi che testimoniano l’orribile strage, bombe a mano lanciate in casoni, in chiesette dove si erano raccolti vecchi, donne, bambini, e chi si affacciava alle porte per scappare veniva mitragliato. Poi il gruppo, sempre di domenica, si sposta a Ca’ Berna, nell’alto bolognese, località dove si contano trenta vittime di una rappresaglia tedesca. Quindi a Ciano di Zocca, nel modenese, teatro di un altro brutale rastrellamento, con impiccagioni. Discende a Bologna, tra la lapide e il monumento ai partigiani al cimitero della Certosa, la lapide che ricorda il sacrifico di Irma Bandiera, staffetta partigiana, e il monumento alle partigiane – 128 – morte nel Bolognese, situato a Villa Spada, inaugurato nel 1975 con sculture effimere realizzate dagli studenti del Liceo artistico, pensando che si sarebbe dovuto rinnovarle, diverse, negli anni. La penultima tappa è a Villa Emma di Nonantola, dove furono accolti e nascosti un centinaio di ragazzi ebrei, e il loro passaggio è testimoniato dai libri che leggevano, ritrovati in una cantina, indizi di un interesse vivace per le grandi questioni dell’epoca. Infine il viaggio si conclude davanti alle pietre di Sabbiuno che ricordano i partigiani uccisi sulle colline di Bologna. E qui torna il tema di una memoria viva, nello scritto di Letizia Galli, una componente del Gruppo architetti urbanisti Città Nuova, che nel 1975 pensò questo spazio di commemorazione: “Abbiamo fondato tutta la nostra scienza architettonica sui monumenti finali, su ciò che resta, sui grandi atti e sui grandi templi. Mentre forse il vero bello è ciò che non resta, che sta su finché la società lo mantiene vivo con gesti quotidiani, con una creatività affidata al sacrificio personale”.
Nel viaggio, lo testimoniano il video e la mappa fotografica finale, entrava anche tanta musica: scritta da Patrizio Barontini e affidata di volta in volta a piccoli ensemble, capaci di far risuonare tra le pietre diroccate il senso della tragedia, di rispecchiarsi nella calma malinconica del paesaggio autunnale che ora copre come un velo gli orrori del passato, di diventare piccola fanfara di festa in luoghi dove bisognava ricordare il forte spirito comunitario o farsi musica yiddish a Villa Emma.
Il fuoco e il segreto diventano fili evidenti: i falò di Pavese a concludere le testimonianze e le performance, magari col pane caldo; l’idea di viaggio in luoghi oggi celati, da riscoprire, prima di tutto dentro di sé, come i “nidi di ragno” di Calvino, sentieri da battere per andare a scavare la memoria, a costruire un disegno. “Alla fine – dicono gli autori – il lettore, anche se non ha partecipato, entra nella tessitura della tela, e si rende conto che questo non è un vero e proprio spettacolo, non è una semplice passeggiata autunnale e neppure è solo un progetto editoriale”. È – ne ricaviamo – una sfida a riattivarsi, come lettori, come spettatori, come persone che vivono non distante da questi luoghi, in un tempo che porta ancora impresse su di sé le orme di quel passato.
Teatro dei libri
Archivio Zeta ama il teatro di parola, civile, propugnato da Pasolini. Ama scavare sotto le visioni. Perciò nella loro drammaturgia l’attività editoriale è fondamentale. Ecco allora le Edizioni Archivio Zeta. Dopo la sperimentazione di vari formati per narrare le loro opere, fermarne la memoria e rilanciarla, ora hanno strutturato due vere e proprie collane.
La prima, chiamata “Leucò”, è stata inaugurata da Teatro di Marte, un volume sul Cimitero militare germanico della Futa, luogo privilegiato dei loro lavori. Quello spazio fuori dall’ordinario, dove sono seppelliti lungo la collina più di 30mila tedeschi caduti nell’ultimo conflitto mondiale, è analizzato come sito architettonico, emblema di memoria e come scenario di spettacoli a volte indimenticabili, sviluppati dal 2003 al 2019, perché nel 2020 l’allestimento è stato vietato dall’ente proprietario a causa dell’emergenza Covid. Questo primo libro è una raccolta di saggi, di testimonianze, di foto: insomma un volume tradizionale.
La seconda collana, “Falò”, è quella in cui trovate Nidi di ragno. Gianluca Guidotti così la definisce: “È più sperimentale. Richiama un’inconsistenza, una leggerezza fatta di progetti effimeri, che potrebbero essere spazzati via dal vento. Sono suggerimenti, percorsi che potrebbero essere ripercorsi, marcati su fogli staccati, affidati alla fragilità della carta”.
Per “Leucò” è in preparazione un volume su un altro filone dell’impegno della compagnia: il laboratorio che svolge da anni con le pazienti di Ginecologia oncologica all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. Si intitolerà La cura delle parole e conterrà interventi di esperti in cure complementari, con riflessioni sugli interventi non farmacologici, che fungono da “cure di umanità”.
L’altro libro (la collana cui è destinato non è ancora chiara) rifletterà su uno spettacolo che la compagnia replica dal 2011 con ragazzi e adulti, sulla “Zona grigia” di cui parla Primo Levi. Alla fine di ogni replica gli Archivio Zeta chiedono agli spettatori di inviare una cartolina con un commento, un messaggio, una riflessione: “Ne abbiamo migliaia. Vorremmo raccoglierne alcune, per articolare un discorso sulla memoria e i giovani, ma anche sulla stanchezza che questi temi possono generare nei giovani. Sarà un libro plurale, pieno di discorsi sulla violenza fisica e psicologica, su situazioni di intolleranza o razzismo di fronte alle quali chi ha scritto i messaggi si è trovato, spesso rimanendo impotente”.
La scatola-libro Nidi di ragno si può acquistare online a quindici euro a questo link
Le fotografie sono di Franco Guardascione.