“La messa in scena di questo dramma, la cui mole occuperebbe, secondo misure terrestri, circa dieci serate, è concepita per un teatro di Marte. I frequentatori dei teatri di questo mondo non saprebbero reggervi. […] La tragedia che si compone delle scene dell’umanità che si decompone, io l’ho presa su di me, perché lo Spirito che ha pietà delle vittime la ascolti, quand’anche abbia per sempre rinunciato al contatto con un orecchio umano. Riceva esso la nota fondamentale di quest’epoca, l’eco della mia cruenta follia, che mi rende corresponsabile di questi rumori”.
Karl Krauss, Die letzten Tage der Menschheit
Il cimitero militare germanico del Passo della Futa o Soldatenfriedhof Futa Pass raccoglie le spoglie di 30683 soldati tedeschi caduti durante la Seconda Guerra Mondiale prevalentemente lungo la Linea Gotica. Il progetto segnò la conclusione di un percorso durato quarant’anni attraverso il quale dare riposo ai soldati germanici morti negli ultimi due conflitti mondiali.
Un percorso che seguì la parabola della storia tedesca, dalla fine della Prima Guerra Mondiale alla Repubblica di Weimar fino alla caduta del regime nazista, dalla rinascita democratica all’incapacità di elaborazione del lutto e del post-nazismo. Dagli Heldenheide, i “boschi degli eroi”, alla potenza simbolica e architettonica delle Totenburg, le “fortezze dei morti”, sino alla grande opera d’arte paesaggistica, innestata tra le vette appenniniche che collegano Bologna a Firenze, immaginata dall’architetto Dieter Oesterlen.
LA GUERRA E IL TEATRO
Un percorso sul senso della guerra e sul senso di Europa, che continua a vivere e a essere costantemente rielaborato, oltre che nel lento cammino che segue la spirale immaginata da Oesterlen e disegnata dalla pietra sino al culmine della montagna, anche nell’opera degli artisti che questo cimitero – paesaggio hanno deciso di renderlo protagonista insieme a Eschilo, Sofocle, Omero, Karl Krauss, Pasolini, Shakespeare, Cortázar e Dostoevskij. Autori che si sono così congiunti, nei tardi pomeriggi d’estate, alle anime dei soldati che qui riposano.
LA RICERCA DI EUROPA
Un nebbioso giorno del 2002, la compagnia archiviozeta ha infatti deciso di fare del Soldatenfriedhof il palcoscenico del proprio lavoro di artisti teatranti. Dopo 18 anni di ospitalità, ha deciso di omaggiare la storia di questo bellissimo incontro, tanto quanto la vicenda e anche l’oblio di questo incredibile luogo, con un libro intitolato Teatro di Marte.
Un luogo di alta quota, battuto dal vento che da scarno e pietroso – inadatto a qualsiasi uso agricolo che non fosse farci pascolare gli animali – è diventato uno spazio per la ricerca di Europa: “Una vetta da cui sorvolare lo scibile e riflettere, riflettere ancora e continuare a interrogarci, porci domande scomode, mandare in crisi il nostro essere animali politici”.
Un libro per raccontare la genesi di questo nastro di pietra, caleidoscopico paesaggio dimenticato già dal giorno dell’inaugurazione, culminante, oltre che con la scultorea vela verticale mosaicizzata da Helmut Lander, con la sua riscoperta teatrale prima ancora che architettonica.
Pagine, curate da Elena Pirazzoli, che, grazie ai contributi dei vari autori chiamati a raccolta, raccontano via via e in una chiara sequenza simbolica prima ancora che storica il senso del luogo, le forme del lutto, la spirale nel paesaggio e il silenzio che ha distinto il progetto tanto nella stampa generalista quanto nella critica architettonica.
NON SOLO ARCHITETTURA NEL TEATRO DI MARTE
Ma Teatro di Marte va oltre la materia dell’architettura, concentrandosi anche sulla materia umana, con gli appunti per una biografia culturale di una generazione straniera morta sul suolo del nostro Paese per una guerra già persa o mentre le truppe nemiche assediano il proprio Paese: “Quand’è che avrà finalmente termine questa miseria? Sembra che tutto debba andare in rovina e forse soltanto per mantenere in vita un piccolo numero di criminali”, così – drasticamente – si esprimeva un maresciallo della 20a Luftwaffen – Felddivision.
Storie necessarie per riconoscere delle porte di accesso a nuove significazioni e meglio comprendere il perché archiviozeta abbia fatto di questa vetta ventosa il palcoscenico, o forse il vero protagonista pacatamente muto quanto angosciosamente urlante, della propria arte.
‒ Guido Incerti