AL CUORE DELLA TENEBRA / MONTE SOLE
SEMINARIO A MONTE SOLE
5 - 6 - 7 ottobre 2018 - Scuola di Pace di Monte Sole - Marzabotto - Bologna
Archivio Zeta e Scuola di Pace di Monte Sole / progetto META MemoryEducationTheatreAction
con il contributo di Regione Emilia-Romagna/Memoria del ‘900 – Emilia Romagna Creativa
in collaborazione con l’Associazione vittime eccidi nazifascisti di Grizzana – Marzabotto – Monzuno ’43 – ’44
Breve video di presentazione del seminario
Progetto META
5 / 6 / 7 ottobre 2018
AL CUORE DELLA TENEBRA
Seminario a numero chiuso presso la Scuola di Pace di Monte Sole
Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni in collaborazione con la Scuola di Pace hanno chiamato a Monte Sole, nei giorni vicini all’anniversario dell’eccidio, alcuni ospiti per riflettere, dialogare, camminare, pensare, ascoltare, discutere, osservare, immaginare. Saranno tre giorni di META/seminario con gli interventi di Clemente Bicocchi (cineasta e scrittore, realizza documentari e film sperimentali dal 1998, tra cui 60 anni (2006), Africa Nera Marmo Bianco (2012), nel 2017 è uscito con Nottetempo il suo primo romanzo Il Bianco del re), Luca Baldissara (insegna Storia contemporanea presso l’Università di Pisa ed è autore de Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole (con P. Pezzino, Il Mulino 2009), Patrizio Barontini (musicista e compositore, docente presso il Conservatorio di Alessandria, collabora con Archivio Zeta dal 2006 ed è l’autore di molte partiture sonore all’interno degli spettacoli), Donatella Bartolini (musicista, rivolge da anni una particolare attenzione al rinnovamento delle metodologie educative in ambito strumentale e musicale, è docente di Pedagogia musicale al Conservatorio “G. Puccini” di La Spezia).
Tre giorni di laboratori, dialoghi, camminate attraversati da letture, suoni, visioni, ascolti. I partecipanti hanno abitato la Scuola di Pace e il Parco Storico entrando in relazione con il luogo dal punto di vista storico, per comprendere e approfondire quanto accaduto dal 29 settembre al 5 ottobre 1944, ma anche per far sì che Monte Sole possa essere luogo che accoglie una riflessione di lungo periodo sulla storia coloniale dell’Europa tenendo come filo conduttore l’opera di Joseph Conrad Cuore di tenebra. Nell’arco del percorso la nostra presenza come autori, artisti e ricercatori ha avuto l’obiettivo di aprire un dialogo tra gli ospiti e i partecipanti al seminario/laboratorio ponendo nuove istanze, fuori di retorica, verso una consapevolezza etica e di conoscenza sulle radici della violenza umana.
Nel pomeriggio dell’ultimo giorno, domenica 7 ottobre abbiamo concluso il seminario un evento pubblico, un percorso sui luoghi degli eccidi guidato e meditato da Archivio Zeta: UN AVAMPOSTO NELLA TENEBRA, una passeggiata alla maniera di Sebald.
Un tentativo concreto di riflettere in modo contemporaneo sulla relazione tra Arte, Storia e Memoria in un luogo tragicamente simbolico.
Note dettagliate sui laboratori:
TRACCE SONORE
a cura di Donatella Bartolini e Patrizio Barontini
Una linea sonora cresce, si stratifica, si trasforma e diventa memoria. E poi? Interrotta, travolta, distrutta, ripresa e accolta di nuovo. La manipolazione del suono ospita tante storie, ne segue le tracce e le fa affiorare al di là del tempo; e loro, liberate da ogni contingenza, diventano parte di noi stessi. Il laboratorio si rivolge a chiunque abbia il desiderio di giocare con questa linea sonora, non occorrono competenze musicali: il gioco è aperto a tutti!
Donatella Bartolini rivolge da anni una particolare attenzione al rinnovamento delle metodologie educative in ambito strumentale e musicale. Con la convinzione che la ricerca didattica non possa disgiungersi da una sperimentazione di nuovi repertori, ha coniugato lo studio pedagogico con le nuove prospettive offerte dalla produzione musicale contemporanea. Si è occupata di progetti interdisciplinari arte-musica collaborando con importanti istituzioni museali per l’arte contemporanea in collaborazione con le quali ha realizzato corsi, incontri, conferenze e laboratori dedicati a un pubblico sia infantile che adulto.Ha curato l’edizione italiana dei testi più innovativi apparsi sul panorama editoriale nazionale e internazionale dedicati alla didattica strumentale: H. Bojé, Il pianoforte, Ricordi (Universal), Snorri Sigfus Birgisson Piano Pieces, Carisch-Siem (Steinabær), C. Hempel, Pianoforte in due, Carisch-Siem (Schott), Bruce-Weber, Il violino felice, Carisch-Siem (Schott), F. Emonts, Metodo europeo, Schott (Schott). In collaborazione col compositore P. Barontini ha recentemente pubblicato un nuovo metodo per lo studio del pianoforte La valigia dei suoni edito da Siem-Carisch. È docente di Pedagogia musicale al Conservatorio “G. Puccini” di La Spezia.
Patrizio Barontini, compositore e pianista, svolge la propria attività in Italia e all’estero, dove ha ottenuto esecuzioni, premi e borse di studio. Ha insegnato nei conservatori di Cuneo, Ferrara, Trieste e Alessandria. Quale musicista particolarmente attento alla formazione dei bambini, ha tenuto corsi anche in altri conservatori e istituti musicali, e preso parte a convegni sulla composizione nella didattica musicale. Collaborando con il centro Tempo Reale di Firenze, ha affiancato alla produzione compositiva numerose esperienze di progettazione sonora nell’ambito di esposizioni artistiche e culturali di diverse istituzioni pubbliche e fondazioni private (tra le altre, Comune di Milano, RAI, Fondazione Dalmine, Renzo Piano Building Workshop). In qualità di regista del suono, è intervenuto in alcune importanti produzioni musicali tra le quali si segnalano quelle con l’Orchestra sinfonica della RAI, con la London Sinfonietta e con l’Orchestra Regionale Toscana.
PIÙ VERO DEL VERO
Strategie narrative per raccontare la “storia”
a cura di Clemente Bicocchi
1 – Dal 2001 al 2004, assieme a mia madre Daria Frezza (originaria di quei luoghi nonché storica), ho raccolto a Cassino – e nei paesi lungo la linea Gustav – i racconti delle persone che nell’inverno 1943/44 si ritrovarono nel mezzo a una delle battaglie più sanguinose della seconda guerra mondiale. Da più di 100 ore di interviste – incentrate non solo sugli eventi bellici, ma anche su aspetti della vita prima e dopo la guerra, sulle modificazioni della memoria in tutti quegli anni e molto altro – ho realizzato nel 2006 il documentario 60 ANNI (53’). Questo film raccontava proprio la ricerca nel suo farsi, con un doppio punto di vista – il mio, ma anche quello di mia madre – che dialogava costantemente con la realtà che piano piano si presentava davanti ai nostri occhi. Il mio obiettivo non era solo raccontare una storia “nascosta” del nostro passato, ma soprattutto interrogarmi sulle contraddizioni, le lacune (e lacerazioni) che un evento così grande aveva lasciato nelle persone, nel paesaggio, nell’immaginario di quei luoghi. Ovviamente, le necessità stringenti del racconto cinematografico hanno fatto sì che dovessi tenere fuori grandissima parte di queste storie, privilegiando magari l’espressività non verbale di questo o quel personaggio, oppure la chiarezza di una frase. Non potevo fare altrimenti e alla fine ho finito il film. Tutto il resto, tutte quelle cassette, tutto il tempo che quelle persone avevano condiviso con noi (grazie soprattutto all’empatia di mia madre verso le loro storie), migliaia di dettagli, emozioni, eventi sorprendenti… tutto ciò era rimasto chiuso in un mobile del mio studio. Doveva diventare un archivio di testimonianze accessibile a tutti, ma non é mai stato fatto. Però (come in una scena del documentario) quelle voci hanno continuato a “chiamarmi”, fino a quando – non molto tempo fa – ho capito che dovevo “liberarle”, che un film non era abbastanza (e forse non era neanche la forma espressiva giusta) per restituire la ricchezza di più di cento esperienze, simili ma diverse; allora ho deciso di riprenderle in mano e sto cercando di “cucirle” un grande racconto collettivo – sotto forma di romanzo – che non pretenda di essere esaustivo, ma che possa sfruttare anche la finzione narrativa per valorizzare la ricchezza di quel “mondo” e la sua irriducibile avversione a ogni categoria. Sono ancora all’inizio…
2 – Nel 2008 mi è stato proposto di realizzare un documentario su un esploratore italo-francese (quasi) sconosciuto: Pietro Savorgnan di Brazza. Sconosciuto in Italia, ma la capitale della Repubblica del Congo (Brazzaville) porta ancora il suo nome. La sua figura è interessante proprio perché si colloca in quel periodo a cavallo tra esplorazioni, fascinazione verso l’esotico, finalità scientifiche e colonialismo vero e proprio. Lui vive entrambi questi momenti in modo assolutamente originale. Tutta la sua storia, raccontata senza fronzoli, valeva un film di Herzog. Non ho proposto a Herzog di fare un film, ma l’ho fatto io. Il problema per me era la totale mancanza di materiale che mi consentisse di costruire un racconto per immagini: avevo i suoi diari, alcune foto, dei disegni e poco altro. Inoltre questa “commissione” comportava il fatto che nel film venisse fuori anche la battaglia per la sua memoria intrapresa da alcuni dei suoi discendenti: una seconda storia che si svolgeva a cento anni di distanza. Stava a me trovare i legami tra le due e far sì che lo spettatore le percepisse come una sola grande avventura. Anche in questo caso ho lavorato di fantasia e ho costruito (direi letteralmente scritto) un racconto “polifonico”, soprattutto per quanto riguarda i registri visivi utilizzati: teatro di marionette, animazioni, foto, immagini di paesaggio… il cui “centro” era un’inquadratura per me fondamentale: la griotte(cantastorie) congolese che narra/canta oggi le vicende del popolo teké dall’alba dei tempi, e del suo re, figura centrale per comprendere appieno anche la storia di Brazza. Il fatto che nelle leggende di un popolo africano ci fosse anche un europeo era per me un ribaltamento di prospettiva sorprendente e qualcosa da salvaguardare all’interno del film che ho completato nel 2012: Africa Nera Marmo Bianco (86’). La mancanza di immagini era dovuta anche al fatto che quando sono andato in Congo la polizia mi ha sequestrato la telecamera. Allora (qualche anno più tardi) il backstage di questo documentario è diventato un romanzo: Il bianco del re, dove le avventure rocambolesche di un cameraman catapultato nel cuore di una cultura millenaria africana fanno da contraltare ironico alla storia di Savorgnan di Brazza, che in questo caso si svela solo per frammenti, attraverso i suoi diari. Tutta la seconda parte del libro narra le peripezie che deve compiere il protagonista (io) per riuscire a salvare proprio l’immagine della griotte che canta (che poi diventerà il cuore del film). Sia il libro che il film hanno una componente di scrittura – quindi di manipolazione (?) – molto forte, ma cercano sempre di mantenere un rapporto profondo e sincero con la realtà raccontata. In entrambe queste esperienze mi sono sempre fatto la domanda: fino a che punto è lecito “tradire” la verità storica per esigenze narrative?In che modo e perché la si tradisce? Nella difficile costruzione del mio punto di vista (da cui raccontare eventi realmente accaduti) le difficoltà e i ripensamenti non mancano…
Clemente Bicocchi è laureato in storia del cinema all’università di Firenze. Ha studiato cinema a New York (NYU), Barcellona (Master Documental de Creacion) e Roma (Centro Sperimentale di Cinematografia). Ha partecipato a workshop con W.Herzog e A.Kiarostami. Realizza documentari e film sperimentali dal 1998; tra questi: 60 anni (2006) – Festival dei Popoli. Africa Nera Marmo Bianco (2012) – Festival Cinema Italien Annecy premio miglior documentario– New York African Film Festival – Mostra International do Cinema Sao Paulo. Educazione Affettiva (2013 con F.Bondi) – uscito in numerose sale cinematografiche italiane. Notturno (2016) – Torino Film Festival – Esposizione internazionale d’arte Aqua. Nel 2017 è uscito con Nottetempo il suo primo romanzo Il Bianco del re, pubblicato in Francia da Editions Liana Levi.
QUELLI CHE UCCIDONO SONO UOMINI
Invenzione del nemico, culture della guerra e pratiche della violenza.
a cura di Luca Baldissara
«Per ciò che ho fatto c’erano sempre delle ragioni, giuste o sbagliate, non so, in ogni caso delle ragioni umane. Quelli che uccidono sono uomini, come quelli che vengono uccisi, è questa la cosa terribile». Queste parole sono fatte pronunciare da Jonathan Littell al protagonista del suo romanzo, Le Benevole (Einaudi), l’ufficiale delle SS Maximilien Aue. Vi si possono attribuire forse significati plurimi, ma certo vi è l’invito a ricondurre i massacratori, i perpetratori delle violenze, anche le più efferate, alla loro dimensione umana. Dal punto di vista dello storico, ciò significa interrogarsi su cosa renda possibile, in determinati contesti, la manifestazione della violenza, anche la più estrema, anche quella che appare disumanizzante. Perché a Monte Sole nel 1944 vennero uccise quasi 800 persone inermi, un terzo circa delle quali bambini? Cosa rese possibile questa furia distruttiva? E si trattò davvero di una furia cieca? A muovere da queste domande, l’intervento tenterà di mettere a fuoco il profilo dei massacratori di Monte Sole, di rispondere alla domanda relativa a chi fossero gli esecutori della strage. Ma di qui prenderà le mosse anche e soprattutto per tentare di costruire un contesto generale delle “ragioni umane” che condussero al massacro. Quali culture, quali esperienze, quali immagini portavano con sé gli uomini che uccisero a Monte Sole? Quale storia avevano alle spalle? E non solo e non tanto la storia individuale, di ognuno di essi, solo in parte conoscibile da noi oggi. Ma anche e soprattutto quale storia collettiva, quale accumulazione storica di retoriche della guerra e di raffigurazioni della morte nel loro percorso di formazione e alfabetizzazione alla violenza. Nella convinzione che la cultura della guerra e l’esperienza coloniale che si sono intrecciate e definite nella storia europea degli ultimi due secoli contengano i materiali e le rappresentazioni costitutive di un processo di invenzione del nemico e di legittimazione della violenza che non solo contribuiscono a spiegare i tragici fatti di Monte Sole, ma che fanno di Monte Sole un evento attuale, in grado di interpellarci sul passato e sul presente. Cosicché, continuare ad interrogarsi sul “perché” di Monte Sole può costituire l’abbrivio alla comprensione delle matrici lontane non solo delle violenze di massa novecentesche, ma anche di quelle del mondo attuale.
Luca Baldissara insegna Storia contemporanea presso l’Università di Pisa. È rappresentante dell’Università di Pisa nel Centro interuniversitario di ricerche storico-militari. Si occupa di storia amministrativa e delle istituzioni, di storia della guerra e della Resistenza, di storia del sistema politico, dei conflitti e dei movimenti sociali, di storia dei crimini di guerra e di giustizia di transizione. Tra le sue pubblicazioni, si segnala Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole (con P. Pezzino, Il Mulino 2009). Attualmente lavora a una storia della guerra e della Resistenza per l’editore Il Mulino.