E’ emozionante salire per la prima volta al Cimitero Militare Germanico al Passo della Futa, uno dei luoghi più suggestivi dell’Appenino Tosco-emiliano, per assistere allo spettacolo-evento che la compagnia emiliana Archivio Zeta vi ambienta da 14 anni, in agosto: si entra di petto in uno dei miti fondanti della nostra civiltà, ambientato tra le 16.000 lastre di granito che ricordano le 30.683 salme di altrettanti giovani morti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dal 5 al 20 agosto, in questo significativo scenario, carico di mille suggestioni e vero labirinto di una memoria, è andato in scena lo spettacolo “Il Minotauro – nel labirinto”, dello scrittore argentino Julio Cortázar, tratto da “Los Reyes”, scritto e diretto da Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni, anche in scena, con Ciro Masella e i piccoli ma già valenti Antonia e Elio Guidotti e Francesco Fedele.
Dopo aver affrontato la drammaturgia classica (Omero, Aristofane, Euripide, Eschilo, Sofocle, Shakespeare), e contemporanea Pier Paolo Pasolini (con “Pilade”), Karl Kraus (“Gli ultimi giorni dell’umanità”), Archivio Zeta, affidandosi ad uno scrittore e drammaturgo moderno, ha scelto per la terza volta di esplorare tutte le suggestioni del mito antico.
Il testo di Cortázar, scritto nel 1949 sotto lo pseudonimo di Julio Denis, si dipana con la sua epica forza in questo luogo, da sempre scelto per la sua forza evocatrice.
Il pubblico vi entra in silenzio, prendendo posto, nelle prime stazioni che compongono il percorso, intorno alle piattaforme circolari in legno che all’inizio si ripetono all’interno del Cimitero, per arrivare, piano piano, con l’evolversi della storia, camminando, sino al suo centro nevralgico: una struttura architettonica obliquamente angolare che punta verso l’alto e sovrasta il cimitero, al cui interno è contenuta la cripta commemorativa. E’ qui che simbolicamente si annida il Minotauro, protagonista del mito raccontato da Archivio Zeta.
Il re greco Minosse (Ciro Masella) si scaglia contro il mostro, creatura metà uomo e metà toro, partorita da Pasifae, sua moglie, che si annida nel labirinto, che lui stesso ha fatto costruire per rinchiuderlo e oscurarlo agli occhi di tutti.
Il re è in attesa dei 14 giovani ateniesi da consegnargli, come ogni volta, in pasto.
Fatti pochi passi, ecco ancora il re di Cnosso che si confronta con la figlia Arianna (Enrica Sangiovanni), al contempo sorella del mostro, separati da una porta, lamina in metallo arrugginito, capace di produrre sonorità distorte che ci accompagneranno durante le sei stazioni. Il re qui si rivela subito in balìa del suo prigioniero, è un’anomalia da estirpare, ma nel medesimo tempo è, davanti a tutti, la ragione del suo potere. Per Arianna invece è un fratello da amare, ma ciononostante da uccidere, aiutando Teseo nell’opera. E’ questo il prezzo che Teseo deve pagare per ricevere Arianna in sposa.
Ma ecco che arriva l’altro re, Teseo (Gianluca Guidotti), ed è lungo la scalinata che collega i vari livelli del cimitero che si svolge il duello verbale con Minosse, il duello tra l’uomo di azione e l’uomo di potere, ambedue protesi all’annientamento del Minotauro.
L’eroe, per essere re, non deve, non può, soprassedere all’impresa e soprattutto alla sua diffusione alle orecchie del popolo, come gli chiede di rinunciare l’impavido Minosse, il cui potere si fonda sulla sopravvivenza del Minotauro.
Sempre in silenzio il pubblico si inerpica fino alla sommità del Cimitero, dove insieme a Teseo, il filo di Arianna lo ha condotto, e dove il Minotauro aspetta la morte. Anche qui il Minotauro non si vede, ma ci parla esprimendosi con la voce fanciullesca di Antonia Guidotti; si lascerà docilmente e dolcemente uccidere, ricordando all’eroe (e a noi): “C’è solo un mezzo per uccidere i mostri: accettarli”.
Il Minotauro, dunque, non è l’orrido mostro che ci è sempre parso di aver conosciuto, ma la vittima sacrificale offerta a un potere che ha avuto bisogno di lui per esistere, e che deve necessariamente morire per perpetuarlo.
La morte del mostro verrà accompagnata da una danza liberatoria finale, eseguita dagli stessi giovani che erano venuti per essergli dati in pasto; così, sulle note di una melodia sudamericana riscendiamo verso l’uscita, lasciando dentro di noi tutte le parole che hanno rivissuto attraverso il disegno scenico di Archivio Zeta.
Tutto il resto è nobile orpello (i semplici ma efficaci elementi scenici di Francesco Fedele, il suggestivo tessuto sonoro di Patrizio Barontini).
Come d’incanto, con la sola forza che il teatro può dare, le 30.683 salme che il Cimitero Germanico racchiude diventano esse stesse il Minotauro, simbolo perenne di come il potere, per continuare ad esistere, debba lasciare dietro di sé infinite teorie di morti.