Il Novecento va in scena, nel nuovo lavoro di Archivio Zeta
di Massimo Marino | 13/01/2017 | Left
Il teatro politico oggi ha spesso una sfumatura volta piuttosto verso l’erica, l’analisi dei comportamenti, l’interrogazione della memoria e della responsabilità.
Archivio Zeta ha presentato al teatro delle Moline di Bologna, una delle sedi Ext, una residenza di tre settimane dedicata a scrittori del Novecento italiano che in quegli orizzonti sì sono addentarti.
Sono Primo Levi, con una lettura di Sommersi e salvati che chiede la partecipazione degli spettatori, il Goffredo Parise quasi dimenticato dei Racconti del Crematorio di Vienna, l’Italo Calvino dell’ Intervista impossìbile a Montezuma.
A ogni autore era dedicata una settimana, con incontri mattutini con le scuole e spettacoli serali nel fine settimana.
La domenica erano chiamati al confronto dopo gli spettacoli scrittori e critici, in un’idea di teatro d’interrogazione, in divenire, che sì fa questione culturale, sociale, politica (non a caso alcune dì queste opere sono nate in relazione con la Scuola di pace dì Monte Sole).
Il progetto era organizzato con la cura di una giovane, valente dramaturg, Rossella Menna.
La zona grigia, da Primo Levi, è uno spettacolo interattivo semplice ed eccezionalmente efficace.
In due ore sentiamo prima raccontare la storia del ghetto di Lodz, in Polonia, le complicità con gli aguzzini nazisti che le stesse vittime accettarono; siamo poi chiamati a esprimere il nostro parere sul «Presidente» di quel ghetto, se sia stato vittima o carnefice; siamo invitati infine a motivare la nostra valutazione su quei comportamenti in una discussione che incrinerà parecchie certezze.
Il teatro diventa – come doveva essere un tempo, in qualche mitica origine, come non è più – domanda alla collettività, richiesta a ogni spettatore di guardarsi dentro e di esporsi.
L’uomo e le cose, da Parise, parla dì reificazione, di riduzione dell’uomo a oggetto, esposto a ogni arbitrio, a ogni esperimento che ne violi l’identità, la vita, la libertà.
I due interpreti e registi, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, con efficacia scandiscono e dilatano le taglienti parole dello scrittore per farci entrare con raccapriccio nel gioco dell’assurdità del dominio dell’uomo sull’uomo.
Nell’ultimo lavoro, Alontezuma, siamo di fronte al rapporto con l’altro, con il conquistatore spagnolo che distrugge una civiltà riportandola ai propri valori, non cercando neppure, per rapacità di conquista, di interpretarla.