Altro che complesso di Edipo, nell’odierno immaginario ridotto ormai a una specie di sindrome di Peter Pan. Altro che psicanalisi, con i suoi perversi meccanismi di rimozione.
Edipo è eroe contemporaneo umano e vulnerabile, votato alla conoscenza totale che non ammette condizioni.
Vittima di un fato iniquo che lo vuole assassino del padre e marito della madre, Edipo fa di tutto per sottrarsi agli orrendi crimini che gli sono stati vaticinati. Cerca di salvare sé stesso e gli altri. Ma di fronte all’ineluttabilità del fato, anziché cercare alibi o scappatoie, riunisce con coraggio i cocci della verità. Definisce così una realtà che sa di crimine e oltraggio, nitida come uno specchio. Riflettendosi, Edipo scopre il ritratto dell’empietà.
Per questo ci accostiamo ai classici. Sofocle, vissuto 2500 anni fa, parla ai nostri giorni. Ci richiama alla responsabilità, a un rapporto non evasivo con la verità. Edipo che ignora tutto è l’antitesi di Amleto che sa tutto. È alternativo anche alla serenità acquiescente di Socrate (“so di non sapere”) e alla determinazione spregiudicata di Orazio Flacco (“sapere aude”).
Archivio Zeta porta un “Edipo Re” intenso ed essenziale al Teatro Sala Fontana di Milano. Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti rendono, attraverso una scenografia al lumicino, il vuoto di coscienza, la nube di buio impenetrabile agli occhi. Il dualismo luce-buio, vista-cecità, impregna la scena.
Una porta-cornice è dimensione liminare di là dalla quale avvengono le trasformazioni dei personaggi. È anche luogo dell’epilogo, che assume l’aspetto di una sopravveste rossa appesa che sbarra la strada, quando Giocasta si uccide. È la luce fredda verso cui Edipo parte, al crepuscolo della propria esistenza.
Una sedia è trono e altalena degli eventi. Su tutto sovrasta un’inquietante oscurità venata di rosso. Sangiovanni e Guidotti mettono in scena i personaggi della tragedia (Giocasta, Edipo, Tiresia, il pastore) a due a due. Il dualismo è la chiave di volta della vicenda. I personaggi non si guardano negli occhi. Danno enfasi profetica alle parole, che si materializzano nel buio come vaticini. È l’oscurità del non sapere anche potendo vedere. La luce è barlume sottile, raggio caravaggesco. Diversamente da Goya, qui è il sapere rischiarato dalla ragione che genera mostri.
Il luogo del delitto è sotto gli occhi di tutti. I personaggi si muovono maestosi su una passerella a forma d’ipsilon. È il riferimento al crocevia dove Edipo, prima di risolvere l’enigma della Sfinge, uccide Laio, sancendo la profezia di Apollo e il proprio e altrui destino infausto. Ma quell’ipsilon è anche lo spettro di possibilità che noi tutti abbiamo davanti alle verità che scottano: sapere, non sapere, fingere di non vedere.
Edipo sceglie di sapere. Edipo lacerato, ossessionato dal dubbio, cammina sul filo dei contrasti. Le domande sono un’istruttoria protesa alla verità a qualunque costo, tesa a snidare il colpevole in un percorso doloroso eppure catartico. Indagini preliminari, notifica, rinvio a giudizio, sentenza e condanna chiudono un cerchio in cui accusa, imputato e reo sono la stessa persona. È la forza tragica di una figura maledetta.
La recitazione solenne, viscerale, proietta in una dimensione icastica al punto da tradursi in risvolti onirici. Archivio Zeta trascende la quotidianità, proietta nei meandri della coscienza.
Le musiche di Patrizio Barontini, stridori d’archi e campane sinistre, dilatano voci ed emozioni, sospendono le inquietudini, smussano i momenti di climax, creano un’atmosfera rarefatta.
Con il potere della parola ambivalente o polisemica, dei suoni, di voci sovrapposte o fuori campo, di una pallida oscurità, Archivio Zeta carica la figura di Edipo di un’ansia e di un senso di sbandamento che travalicano lo sgomento dell’eroe tragico, così come superano l’evocazione del caso edipico personale. Questo Edipo ha tanto da insegnarci, in primis l’atteggiamento dell’aprire gli occhi di fronte alla propria condizione, e poi proseguire a testa alta il cammino personale.
Senza alimentare la speranza attraverso la creazione di un “mondo altro”, Archivio Zeta decide di turbarci, sviscerando in tutta la sua nudità la crudezza delle relazioni su cui si struttura la società in cui viviamo.
EDIPO RE
di Sofocle
traduzione Federico Condello
diretto e interpretato da Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
musica Patrizio Barontini
luci Antonio Rinaldi
tecnico Andrea Sangiovanni
suono Tempo Reale
coordinamento organizzativo Luisa Costa
cura Rossella Menna
durata: 1h 20’
applausi del pubblico: 2’ 30”