L’Edipo Re di Archivio Zeta: l’eroica ricerca del vero
Renzo Francabandera | 21/04/2016 | PAC
RENZO FRANCABANDERA | I segni scenici sono pochi ma nella sostanza inequivoci: una pedana di legno chiaro con un trivio, una Y con i due rami corti rivolti verso la platea, a ricordare le vicende della vita del protagonista (sospesa in apparenza nel nero scenico, suggestionata, ci viene poi spiegato, da alcuni fotogrammi di ispirazione cinematografica), l’intelaiatura di una porta stretta sempre di legno chiaro sul fondo dl lato lungo della pedana. Un trono vacante all’inizio. Abiti lunghi e neri o rossi. Il resto è luce e buio.
E’ un progetto molto ampio di ragionamento sullo spazio del tragico quello che Archivio Zeta (Enrica Sangiovanni ed Enrico Guidotti) sta portando avanti da anni, dapprima nell’universo suggestivo ma più isolato della zona della Futa con la loro piccola decennale residenza fino al 2014 e ancor più vivamente da quasi de anni a Bologna, dove la compagnia teatrale si è trasferita di recente. Una serie di progetti in parallelo, che indagano teatro e spazi, ideologia e impegno, mito, tragedia e contemporaneità.
Edipo Re è forse, nella sua evoluzione dal 2011, quando l’idea è nata ed ha avuto i primi allestimenti all’aperto, ad oggi, che lo spettacolo ha iniziato a girare nelle sale italiane in una versione indoor (noi lo abbiamo visto al Sala Fontana di Milano, sala emanazione di Elsinor, che ha avvicinato Archivio Zeta per una progettualità più ampia), la prima creazione pensata e affinata per una circolazione in spazi più convenzionali, scontando la vocazione della compagnia ad allestimenti di natura più ambientale, quasi colossale, pur attraverso mezzi non sofisticati.
La scena si apre con lo scranno vuoto ed un roteare di luci nel buio, quasi alla ricerca di qualcosa. Qui la sfinge, qui la profezia, qui Edipo incredulo, e sua madre. Guidotti è un Edipo guascone e quasi irriverente, ma che pian piano svilupperà una sorta di titanica tensione all’assoluto pur mantenendo intatta la sua fragilità. Enrica Sangiovanni interpreta tutti gli altri personaggi, dalla madre/moglie all’indovino, fino ai pastori che avrebbero salvato la vita al protagonista.
Dal punto di vista sia sintattico che simbolico lo spettacolo si avvale innanzitutto di una pregevolissima traduzione del testo, curata da Federico Condello. A questo tappeto di parole, nel tempo, è stata sottratta la trama che delineava la figura di un Creonte quasi irriverente, per focalizzare maggiormente l’attenzione su Edipo, le sue debolezze e le sue contraddizioni, ma soprattutto il suo rapporto con il destino, oltre il bene e il male, il giusto e ingiusto, per andare incontro ad una prometeica ed eroica verità. Il finale, contrapposto a quell’iniziale ricerca nel buio, è un bagliore accecante che promana da due occhi che sovrastano tutto.
La ricerca del vero, del giusto, prima ancora che negli altri in noi stessi, avvicina l’evoluzione di questo allestimento all’indagine sulla colpa e il coraggio che Archivio Zeta sta, per altro verso, sviluppando con la Scuola di pace di Montesole, vicino Marzabotto: una riflessione iniziata due anni fa sul testo di Parise L’uomo e le cose e portata avanti in questa prima parte d’anno con La zona grigia, narrazione performativa ispirata ai testi dell’ultimo Primo Levi.
Cosa emerge in maniera chiara sull’operato di questa compagnia, guardando in retrospettiva ai lavori dell’ultimo quinquennio fino all’Edipo Re? Al di là della grande attenzione per il simbolo e lo spazio, per gli elementi scenici e il loro intreccio semantico senza sbavature, la caratteristica di maggior pregio del linguaggio di Guidotti e Sangiovanni risiede nella capacità di rendere coincidenti le loro scelte sul logos scenico sia allo sguardo il critico che a quello del pubblico. È un’enorme ricchezza che lo spettatore sia condotto in un universo molto complesso ma in cui la sua fruizione non sia sensibilmente distante nel percepito rispetto a quella dello spettatore esperto. E come se l’esercizio principale di Archivio Zeta risiedesse nell’individuare segni semplici per definire concetti complessi, una vera e propria arte che parte sempre dal testo per arrivare alla tridimensionalità scenica. In questo allestimento, poi, proprio a proposito di tridimensionalità scenica, si fa effettivamente prezioso il lavoro di Antonio Rinaldi alle luci, una vera e propria presenza, o assenza a seconda del caso.
Le figure riescono quindi ad emergere in una caravaggesca e finita teatralità, che però arriva ad avvicinare il vero del tragico e ad abbagliare lo spettatore.
Edipo Re
traduzione Federico Condello – Università di Bologna
diretto e interpretato da Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
musica Patrizio Barontini
luci Antonio Rinaldi
suono Tempo Reale
sartoria Made in Tina
assistenza di scena Andrea Sangiovanni
coordinamento organizzativo Luisa Costa
cura Rossella Menna