Sempre attuale e inquietante il dramma di Henrik Ibsen, rappresentato da Archivio Zeta: il cinismo del potere, la viltà dell’uomo comune
Teatri di Vita, poliedrica realtà culturale bolognese, ha ospitato di recente (4-6 aprile) la compagnia Archivio Zeta. Con la regia di Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti, è andato in scena uno dei testi più inquietanti e attuali del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen (1828-1906): Un nemico del popolo (1882).
Alla fine restano il sussiegoso profilo dell’autorità, l’acquiescente silenzio dell’uomo comune, una ribellione intellettuale portata allo stremo. E quell’aria liturgica, sospesa sulle figure già immobili, quasi a cullare il sonno della ragione, a far dimenticare l’ingombrante prosa delle ricerche, la scomoda disarmonia dei dubbi. Si conclude così il dramma ibseniano nella versione proposta appunto da Archivio Zeta. È la storia del medico Stockmann, che, dopo accurate indagini scientifiche, rileva la presenza di sostanze tossiche nell’impianto termale di Skien, piccolo centro della Norvegia. Vorrebbe rendere pubblici i risultati, informare dei rischi per la salute. Ma si tratterebbe di ridiscutere un progetto costoso, sul quale l’establishment della cittadina ha molto puntato per il rilancio dell’economia locale. Il sindaco, responsabile dell’amministrazione delle terme, è suo fratello. Sarà anche il suo più fermo oppositore, burattinaio di un microcosmo borghese poco disposto a sacrificare le proprie certezze in nome di dati intangibili, di valutazioni radicali, di una voce che, quanto più rimane isolata, tanto più viene facile chiamare “nemica”.
«Tu qui parli di una elevata concentrazione di composti inquinanti. E sarebbero tanti? Uno mica li vede…». Con questo sarcasmo il sindaco Peter Stockmann, tenendo tra le mani una provetta di laboratorio, pone in ridicolo ogni sforzo di gettare luce sulla vicenda. Il medico, diversamente dal testo originale, è un personaggio femminile. Sorella e fratello. Posti uno di fronte all’altra non per riconoscersi, come Elettra e Oreste, ma perché lui misuri la solitudine di lei, ne sia il fine architetto. È una guerra verbale di estranei, in cui l’annuncio delle “magnifiche sorti e progressive” per la città si contrappone all’onestà nuda della perizia. Non si sono fatti investimenti milionari per leggere le pagine di un dossier; i proclami ottimistici calpestano le profezie scomode. La necessità di intervento sulle terme viene ridotta da Peter a capriccio, a soluzione opzionale differibile nel tempo.
Così, anche i toni allarmistici non hanno motivo di esistere, vengono presentati come atteggiamenti da “testa calda”: riesce facile svilire al rango di intemperanza caratteriale la tensione verso i problemi. Lo spazio pubblico e i simboli stessi della vita civile saranno conferma di tutto ciò. La dottoressa Stockmann aveva definito le condutture termali una «tomba velenosa». Conoscerà ora il cimitero dell’etica, nascosto sotto le caute perifrasi, gli inviti alla misura. Di questi ultimi saranno prodighi il tipografo Aslaksen e il giornalista Hovstad, responsabili del quotidiano La Voce del Popolo, cui la dottoressa si rivolge nella speranza di pubblicare un articolo sui pericoli dell’impianto. Quando il sindaco minaccerà che ogni eventuale spesa di rifacimento sarà a carico esclusivo della cittadinanza, allora il rifiuto alla diffusione della notizia sarà netto. Una volta di più, l’inquietante esposto scientifico diviene chiacchiera avventata, enfatica, confusa. Come se, qualche anno fa, uno studente di Medicina a Taranto avesse preteso di convocare una conferenza stampa per dire la sua sull’aumento locale dei tumori. Cosa volete, la passione per la ricerca manda proprio la testa in fumo…
Con il fervore di un’estrema preghiera, con la lucida ostinazione di chi procrastina un epilogo e smuove una censura già imposta, la dottoressa convocherà un’assemblea, affinché i cittadini sappiano la verità. Già, assemblea. Non priva di ombre, fin da Eschilo era stata questa la cattedrale del diritto. Ora è un vuoto feticcio. Non ci sarà alcuna lettura delle analisi mediche, ma solo una mozione di sfiducia che la democrazia indirizza a se stessa, la diagnosi di un paradosso finora taciuto: «Il più pericoloso nemico della libertà è la maggioranza compatta». Tra il clamore della folla, queste parole si faranno pietra da ostracismo, preludio a un’accusa mai trascorsa nelle epoche: “nemico del popolo”. E sarà la consuetudine della sentenza ad accompagnare un congedo disadorno. Senza lungaggini, postille, riflessioni. Poiché al frettoloso oblìo della coscienza non si addicono i tempi delle indagini.
Giulio Azzoguidi
(LucidaMente, anno IX, n.100, aprile 2014)