Eschilo va al Sant’Orsola
Massimo Marino | 27/09/2013 | Corriere di Bologna
L’iniziativa I registi: «Lo spettacolo sarà itinerante e attraverserà vari padiglioni all’interno dell’ospedale»
La compagnia Archivio Zeta porta oggi l’«Orestea» al reparto di ginecologia: «Siamo stati invitati dal chirurgo Pierandrea De Iaco, che ci segue da anni»
In molti le Eumenidi l’hanno vista in agosto sull’Appennino, al Cimitero militare germanico, tra le lapidi che scandiscono la collina e l’ala spezzata del monumento funebre, luogo di mesta memoria di una gioventù mandata al macello dal furore del nazismo. Per due giorni, a maggio, la tragedia di Eschilo secondo Archivio Zeta è stata anche a Dom, al Pilastro, nelle strade, tra i palazzoni, nel giardino Pasolini, sotto la cupola della scuola e sotta quella di Laminarie. Ora questa terza parte dell’Orestea torna a Bologna, in un luogo assolutamente particolare. Oggi alle 18 sarà rappresentata a partire dal reparto di Ginecologia nel policlinico Sant’Orsola (ingresso 20 euro, ridotto under 18 dieci euro; prenotazioni 334/9553640).
Lo spettacolo conclude l’unica trilogia arrivataci integra dal mondo greco, una storia di vendette che si snodano intorno alla guerra di Troia e si trascinano attraverso le generazioni, fino a questo atto risolutivo finale. Come si svolgerà lo spettacolo in un luogo tanto inusitato, ce lo spiegano, intrecciando le voci, i due registi e interpreti, Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti (in scena anche Marianna Cammelli, Luigia Savoia, Giulia Piazza, Rosanna Marcato, Giovanna Villa, Alfredo Puccetti, Luciano Ardiccioni; percussioni Luca Ciriegi e Duccio Bonciani; intensa partitura sonora rigorosamente acustica di Patrizio Barontini): «Siamo stati invitati al Sant’Orsola da uno spettatore che ci segue da molti anni, il chirurgo Pierandrea De Iaco, che è rimasto molto colpito dall’allestimento fatto al Dom. Avendo a che fare con donne che hanno subito operazioni per tumore al seno o all’utero, è stato profondamente interessato dalla trasformazione che nella storia subiscono le Erinni, spiriti femminili inferi della vendetta, che alla fine diventano Eumenidi, esseri benevoli. Ci ha aiutato a scoprire un lato del testo al quale avevamo prestato meno attenzione: c’entra con la capacità che la società dovrebbe avere di riassorbire figure che rappresentano il risentimento o questioni non risolte, per rielaborarle e reinserirle.
Proprio come le donne che hanno subito interventi che minano la femminilità, la capacità riproduttiva, l’immagine di sé, fino a diventare nuove figure, che devono accettarsi e essere accettate».
Lo spettacolo sarà itinerante. Inizierà nel padiglione di Ginecologia, in cui sarà ambientato il tempio di Apollo a Delfi dove Oreste, reo di aver ucciso la madre Clitennestra per vendicare l’assassinio del padre Agamennone, va a chiedere ad Apollo, che lo ha istigato, di liberarlo dalle Erinni, arcaiche vendicatrici del sangue materno. Proseguirà con un percorso esterno, tra i viali dell’ospedale, per concludersi nell’aula magna di Medicina generale, con l’istituzione dell’Areopago, il primo tribunale della storia, presieduto da Atena la luminosa, e la soluzione della questione attraverso un processo e non più una vendetta di sangue. «Si paga un biglietto aggiungono i registi perché non c’è alcun sostegno pubblico. Noi siamo completamente indipendenti; lo spettacolo è organizzato dalla onlus G.O. for Life: in quel «G.O.» è indicata, appunto, la ginecologia oncologica. È un primo incontro: questa associazione vorrebbe organizzare con noi un laboratorio durante l’inverno, con una permanenza in reparto e un lavoro con pazienti e ex pazienti». E osservano: «Fare un tale testo in un ospedale, come in un cimitero come quello tedesco, lo avvicina al significato originario del teatro come luogo in cui si rispecchia tutta una società, con le sue questioni irrisolte.
Essere in un sito di nascita e di malattia, o di morte e di memoria, vuol dire portare lo spettacolo fuori dall’argine chiuso di una sala di rappresentazione, in quei posti, in quelle periferie, diceva Pasolini, dove una comunità affronta le sue questioni profonde. Questo restituisce al teatro la sua funzione pubblica, per la città, per la polis: lo rende politico in senso proprio».
Massimo Marino