“Agamennone”, Archivio Zeta porta Eschilo sulla Linea Gotica
Matteo Brighenti | 23/07/2013 | Recensito
Dormono, dormono, dormono sulla montagna, Josef, Heinz, Ernst, Sebastian. Non vengono dall’ “Antologia di Spoon River” di Lee Masters, ma dalla Germania nazista di Hitler. Sono in 32mila nel Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa, provincia di Firenze. Hanno incontrato la morte mentre difendevano la Linea Gotica. Nel loro sonno senza respiro infuria un itinerante “Agamennone”.
La compagnia Archivio Zeta ha condotto fin quassù la tragedia di Eschilo forte del progetto “Orestea 2013”, che prevede la rappresentazione di tutta la trilogia del drammaturgo greco (oltre ad “Agamennone”, “Coefore” ed “Eumenidi”). Il riposo della morte è un silenzio rotto inizialmente solo dal volo degli insetti e dai passi del pubblico. In questo nuovo spazio/tempo al di là della vita, il più grande sacrario germanico in Italia è la città greca di Argo. Appostata sulla soglia del cimitero, una vedetta introduce gli spettatori nella notte di attesa per il ritorno di Agammenone dalla guerra di Troia. Le pietre cominciano a risuonare della voce nuda degli attori, dei suoni e delle musiche diPatrizio Barontini. Finalmente, dopo giorni passati invano, avvista all’orizzonte il segnale che tutti aspettano: la guerra è vinta, il re farà ritorno e il pubblico può entrare in città, un muro di duemila metri che sale a spirale fino alla cima della montagna e circonda le tombe dei caduti. Qui Agamennone incontra la sua morte: la moglie Clitemnestra lo uccide perché, 10 anni prima, ha sacrificato agli dei la loro figlia Ifigenia per avere venti favorevoli alla partenza per Troia. “Io ho fatto quello che dovevo fare” suona decisa al termine dell’ “Agamennone” la voce di Clitemnestra. Voleva giustizia, ha avuto vendetta e nelle “Coefore” troverà la morte per mano del figlio Oreste.
La catena di sangue, che potrebbe tramandarsi di generazione in generazione, si spezza però quando, nelle “Eumenidi”, interviene a fermarla la giustizia della Legge. Essa si incunea nel culmine della violenza come il gigantesco muro piramidale nell’ultima spirale del sacrario germanico della Futa. Da lassù quella monumentale “scheggia” di pietra domina il cortile d’onore sotto il quale si trova la cripta commemorativa, dove Josef, Heinz, Ernst, Sebastian e tutti gli altri 32mila soldati tedeschi morti in battaglia cercano la pace che non hanno trovato in vita. Per aver fatto, anche loro, quello che dovevano fare.
(Matteo Brighenti)