L’epos sulla vetta
Massimo Marino | 10/05/2013 | Left
I giovani attori e registi della compagnia Archivio Zeta si sono “rifugiati” sull’Appennino.
Per fare un teatro che fa rivivere la tragedia antica.
Fra poesia e impegno Hanno abbandonato i teatri della città per rifiuto di scambi e compromessi, e si sono rifugiati tra i monti dell’Appennino fiorentino a coltivare il sogno di un loro spazio indipendente, ispirato dal Teatro di parola di Pasolini.
Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidetti, registi e fondatori di Archivio Zeta, si sono formati alla scuola analitica di Luca Ronconi; sono stati folgorati dal raro teatro essenziale e politico fatto per alcuni anni in Toscana da Jean-Marie Straub e Danielle Huillet.
A Firenzuola, terra della pietra serena, hanno installato un laboratorio permanente in cui la parola dei classici, vissuta nelle sue arterie più profonde, è misurata con discordanti musiche di oggi e con invenzioni spaziali che rendono evidenza i discorsi.
Hanno formato un gruppo di attori non professionisti di fenomenale presenza espressiva (tra di loro, il compianto economista senese Franco Belli).
Con pochissimi finanziamenti locali (estintisi a un cambio di giunta verso il centrodestra) hanno allestito, ogni anno, una tragedia greca nel Cimitero militare tedesco della Futa, luogo di pace e di memoria del furore.
Di infinita suggestione teatrale e civile.
E là si sono formati un pubblico fedele, che arriva dal fiorentino e dal bolognese (vi si potrà vedere quest’anno, da fine luglio ad agosto, l’intera Orestea).
L’anno scorso hanno aperto un teatro composto di due rudi capannoni in cemento, lo Spazio Tebe, in località Brenzone, appoggiandosi a un agriturismo amico, che può anche ospitare gli spettatori dei loro lavori.
Qui recitano, tutti i sabati e le domeniche di maggio alle 18, il Nemico del popolo di Henryk Ibsen.
Il testo, del 1882, racconta di inquinamento, di potere della maggioranza, di legami della pubblica opinione con gli interessi economici.
In una cittadina le terme stanno portando ricchezza.
Il dottor Stockmann, fratello del sindaco presidente dell’istituto termale, scopre che le falde acquifere sono irrimediabilmente inquinate.
Per denunciare lo scandalo trova sponda, inizialmente, in un giornale progressista.
Ma quando il fratello fa capire che per bonificare bisognerebbe chiudere ogni attività, con grave danno economico per tutte le classi sociali, il medico è dichiarato “nemico del popolo” e ostracizzato.
Se avete pensato alla vicenda dell’Uva di Taranto, siete sulla buona strada.
Lo spettacolo, sfrondato dei personaggi minori, basa le parole di denuncia sulle perizie usate dalla magistratura della città ionica.
Stockmann diventa una dottoressa (Enrica Sangiovanni, con Gianluca Guidotti, Alfredo Puccetti e Luciano Ardiccioni), in un lavoro che, con le musiche stridenti, inquietanti di Patrizio Barontini e lunghe ombre espressioniste, si svolge in due enormi nudi ambienti.
Ci sono solo una scrivania, due sedie e poco altro.
E tante provette con acqua che nell’apparente limpidità nasconde i germi venefici.
La tensione cresce grazie ai rapporti spaziali tra i personaggi, che diventano testimonianza fisica delle loro idee o dei loro interessi.
La vicinanza, la distanza, lo scontro, la fuga sono il tessuto connettivo di un teatro di idee che morde in modo esemplare ed emozionante la nostra contemporaneità.
left 11 maggio 2013