Iliade
i fiumi parlano
di Omero
fabbricazione – duello – uccisione
riscatto – compianto – sepoltura
Dopo Eschilo e Sofocle, un passo ancora indietro: Omero. Un nuovo tentativo di teatro di parola: a verso a verso, andando a capo quando il senso è finito.
Regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni
traduzione Rosa Calzecchi Onesti, Giulio Einaudi editore
conflagrazioni poetiche Cesare Pavese, Simone Weil
aedi Enrica Sangiovanni, Gianluca Guidotti, Alfredo Puccetti, Luciano Ardiccioni
musica Iannis Xenakis – Ludwig van Beethoven
produzione Archivio Zeta 2009
Chi aveva sognato che la forza, grazie al progresso, appartenesse ormai al passato, ha voluto vedere in questo poema un documento; chi sa discernere la forza, oggi come un tempo, al centro di ogni storia umana, vi trova il più bello, il più puro degli specchi. La forza è ciò che rende chiunque le sia sottomesso una cosa. La straordinaria equità che ispira l’Iliade non ha avuto imitatori. A malapena ci si accorge che il poeta è greco e non troiano. L’Iliade fu l’unico vero testo dell’epopea occidentale, suoi soli continuatori furono Eschilo e Sofocle. Gli uomini ritroveranno il genio epico quando sapranno credere che nulla è al riparo dalla sorte, quindi non ammirare mai la forza, non odiare i nemici, non disprezzare gli sventurati. E’ dubbio che ciò sia prossimo ad accadere.
Simone Weil – 1940
La struttura drammaturgica di questo spettacolo è costituita dall’ultima parte dell’Iliade, dal Libro XVIII al XXIV: quella che comunemente viene intesa come Achilleide, dal momento in cui Achille, dopo l’uccisione del compagno Patroclo, decide di tornare a combattere. Partiamo dalla fabbricazione delle armi di Achille che Efesto costruisce su richiesta di Teti, per passare al duello Achille/fiume Scamandro, dove è la natura stessa che si rivolta contro la violenza (Libro XXI); ci innestiamo quindi nel poderoso duello Achille/Ettore fino alla sua tragica uccisione (Libro XXII).
La seconda parte dello spettacolo si concentra sul riscatto del corpo di Ettore da parte del padre Priamo che di notte si reca alla tenda d’Achille; qui avviene il compianto: Priamo piange il figlio morto, Achille piange guardando Priamo che gli ricorda suo padre. Priamo riporterà a Troia il corpo del figlio per la sepoltura (Libro XXIV).
Dopo Eschilo e Sofocle, un passo ancora indietro: Omero. Un nuovo tentativo di teatro di parola: a verso a verso, andando a capo quando il senso è finito. Provando ci accorgiamo per simpatia, per assonanza, che ILIADE è ancora lettera viva se chi dice o ascolta è vigile, disponibile. Questa è una battaglia, una sfida della poesia contro l’assuefazione, contro l’ignoranza, contro tutto ciò che è offesa al mondo. Proviamo a dire i versi di Omero voltati in italiano da Rosa Calzecchi Onesti (grazie all’infaticabile cura editoriale di Cesare Pavese) e ad imbastire con ago e filo una geometria ritmica di duelli verbali: s’impara la lima e la pazienza: a mettere in connessione la lettera con la vita, con la realtà, a dargli forma, pensiero, anima e immaginazione e a osservare come lievita un pane di parole o come si leviga un legno carico di versi o come si zappa un campo irto di accenti. Verso a verso come corpo a corpo, come duello, testo/aedo, che poi dopo il duello si fa coro e quindi polifonia condivisa: fiumi ascoltare!
Sappiamo bene tuttavia che qualunque traduzione è una messa in scena che adatta un testo perlomeno a un nuovo clima verbale e lo colloca in un gioco di riflessi e di richiami, di sopraggiunte oscurità e insospettate possibilità d’echi, che è sempre un travestimento. Ma sappiamo altresì che altro è accontentarsi della generica suggestione di un testo e tradurla secondo un secolare schema oratorio, altro accostarsi alla lettera viva armati di una sensibile e attenta filologia, come di una bilancetta, che dovrà scrupolosamente dosare l’oro della poesia. Di questa nostra convinzione non ci pare anzi nemmeno di doverci vantare: è una semplice esigenza di coscienza e di gusto e chi oggi non la sente si mette fuori non dico della “civiltà letteraria” di buona memoria ma del normale alfabetismo.
Cesare Pavese – 1950
Galleria foto
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