SEGUENDO EURIDICE

due catabasi di Ovidio e Italo Calvino

giovedì 11 luglio 2024 ore 19 - Tomba etrusca della Montagnola - Sesto Fiorentino

in collaborazione con Biblioteca Ernesto Ragionieri di Sesto Fiorentino

ingresso gratuito, posti limitati, prenotazione obbligatoria

giovedì 11 luglio 2024 ore 19 – Tomba Etrusca della Montagnola, Via Fratelli Rosselli, Sesto Fiorentino (FI)

 

SEGUENDO EURIDICE

due catabasi di Ovidio e Italo Calvino

a cura di Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni

partitura musicale Patrizio Barontini

invenzioni e tecnica Andrea Sangiovanni

letture da Ovidio, Metamorfosi libro X e Italo Calvino

progetto Mnemosyne

archiviozeta propone per il sito archeologico della Montagnola a Sesto Fiorentino una performance teatrale ispirata al mito di Orfeo ed Euridice, una delle leggende più note della mitologia greca. Considerata una delle storie più commoventi e strazianti, questo mito racconta l’amore tra due giovani: Orfeo, poeta e musicista, ed Euridice, una bellissima ninfa. Un amore sfortunato, interrotto dalla prematura morte di Euridice che Orfeo cerca invano di riportare alla vita scendendo nell’Ade.

Questa performance fa parte del progetto MNEMOSYNE, lavoro di ricerca teatrale volto alla valorizzazione di musei e aree archeologiche, in collaborazione con la Biblioteca Ernesto Ragionieri di Sesto Fiorentino (FI).

La materia drammaturgica è composta da due diverse catabasi tratte rispettivamente dal libro X delle Metamorfosi di Ovidio e dalle Cosmicomiche di Italo Calvino.

Si parte dai bellissimi versi del poeta latino in cui si racconta che la felicità dei due amanti svanisce quando il giovane Aristeo, figlio di Apollo, si innamora perdutamente della bellezza di Euridice. La ninfa nel tentativo di sfuggire ad Aristeo, scappa nell’erba alta e inciampa in un serpente velenoso che la uccide. Orfeo si dispera terribilmente per la morte dell’amata e compone canzoni cariche di dolore, che commuovono tutte le ninfe, gli dei e persino le Erinni. Poi Orfeo impazzisce per il dolore. Non riesce ad immaginare la sua vita senza Euridice. Decide di scendere negli inferi per rivolgersi ad Ade e Persefone, re e regina del mondo dei defunti. Orfeo deve affrontare numerosi ostacoli per raggiungere Ade e Persefone a cui chiede di restituirgli l’amata. Persefone, intenerita dall’amore di Orfeo, permette all’innamorato di poter riavere l’amata ad una condizione. Durante il tragitto che avrebbe condotto entrambi fuori dall’Ade, Orfeo non avrebbe mai dovuto voltarsi per guardare Euridice. I due innamorati iniziano così il tragitto insieme, nel tentativo di ritornare nel mondo dei vivi. Euridice, che non è a conoscenza del patto tra Persefone e Orfeo, continua a chiamarlo. Il giovane però, colmo di dolore, continua il percorso senza mai voltarsi indietro per non rischiare. Una volta raggiunta la soglia e la luce, Orfeo crede di essere uscito dagli inferi e si volta. Purtroppo Euridice, che è ancora dietro di lui, avverte un forte dolore alla caviglia, lì dove era stata morsa dal serpente in vita. Si ferma e, di conseguenza, non supera l’uscita con l’amato. Orfeo rompe così l’unica condizione da rispettare e vede Euridice scomparire per sempre. Orfeo piange di dolore per sette giorni. Muore dilaniato dalle Menadi: la testa di Orfeo viene separata dal suo corpo e gettata nel fiume Ebro. Si narra che la sua testa, separata dal corpo, continui a cantare tristemente le canzoni e le poesie scritte per Euridice.

A questa prima versione classica del mito abbiamo deciso di collegare, nell’anno del centenario della sua nascita, due Cosmicomiche un po’ dimenticate di Italo Calvino. La storia che mettiamo in scena è tratta da due racconti fantastici che sono riscritture geologiche della storia di Orfeo e Euridice: Il cielo di pietra, pubblicato ne La memoria del mondo ed altre cosmicomiche e L’altra Euridice che uscì sulla rivista “Gran Bazaar”nel 1980. La rivisitazione del mito di Orfeo e Euridice da parte di Calvino propone una serie di capovolgimenti rispetto ai rapporti originali, tra i quali il più notevole deriva dal considerare il mondo all’interno della Terra, in cui abitano Plutone e la sua compagna Euridice, il vero mondo terrestre, ricco di fantastici paesaggi nati da fantasmagorici rapporti tra elementi. Calvino immagina una Euridice felice negli inferi, un mondo incontaminato, ricco di paesaggi fantasmagorici risultato di un equilibrio armonioso tra gli elementi della natura ma che, attratta dalla stranezza del mondo di fuori e dal suo rumore, sale incautamente in superficie subendo il rapimento di Orfeo. Plutone, disperato, cercherà in tutti i modi di liberarla risalendo attraverso il canale di un vulcano e di riportarla alla vita pura della profondità della terra ma inutilmente. Quello immaginato da Calvino è un rovesciamento totale rispetto alla storia di Ovidio: Orfeo è un rapitore e Plutone ed Euridice sue vittime. Alla musica prodotta dagli elementi naturali nel centro della terra contrappone il rumore terrestre fatto di suoni assordanti; alla bellezza incontaminata della profondità geologiche contrappone il caos assordante della terra: il vero inferno è sulla terra e il canto di Orfeo, capace di creare emozioni anche alle pietre che incontra sul suo cammino, secondo la tradizione classica, diventa una melodia che disintegra. Calvino allude al disastro ambientale di cui l’uomo è colpevole e vittima insieme. Il racconto è allegoria del pericolo a cui l’esistenza sulla terra va incontro: una interpretazione quasi profetica per noi che ormai siamo diventati extraterrestri.

Seguendo Euridice si colloca in una scenografia di senso particolarmente emozionante: una meravigliosa tomba etrusca a thòlos immersa nella campagna delle colline intorno a Firenze. Conduciamo il pubblico con noi, ad attraversare il sottile confine tra la vita e la morte. Abbiamo scelto di ripercorrere un mito che, raccontato da due scrittori così lontani ma affini, cerca di dare corpo e voce al nostro eterno desiderio di valicare il confine, vedere cosa c’è aldilà, e poterlo raccontare. Confrontarsi con un altro mondo, il mondo dei morti, entrare in contatto con quel coro silenzioso di innumerevoli esseri umani che non sono più ma che non vogliamo e non possiamo dimenticare, significa anche entrare in relazione con una civiltà antica della quale purtroppo sappiamo pochissimo, ma che vedeva in questo passaggio anche un momento di festa.

Il luogo, la Montagnola di Sesto Fiorentino

Da secoli a Quinto, alle pendici di Monte Morello, si erge la Montagnola – un tumulo di terra che per la sua forma regolare faceva ipotizzare un’origine artificiale. Nel 1959 furono avviati i lavori di scavo che portarono alla scoperta di una tomba etrusca tra le più grandi finora conosciute. La tomba risale alla seconda metà del VII secolo a.C, ed è parte di una serie di siti archeologici – tra cui la vicina tomba de La Mula – che testimoniano un’antica presenza etrusca su quello che oggi è il territorio di Sesto Fiorentino. Si tratta di una tomba a thòlos costituita quasi interamente di larghi blocchi di pietra alberese, e ricoperta da un imponente tumulo di terra. Il tumulo ha una base di forma approssimativamente circolare, con perimetro di circa 125 metri, e diametro di circa 70 metri. All’interno della tomba si accede tramite il dromos esterno, un corridoio a cielo aperto delimitato da blocchi di pietra; questo corridoio si estende per 14 metri fino all’ingresso del dromos interno, che prosegue al coperto per altri 7 metri. Sul dromos interno si aprono a croce due camere sepolcrali di forma rettangolare. Sull’anta della cella di destra è collocato un largo lastrone di pietra su cui sono state ritrovate – vagamente visibili ad occhio nudo – tracce di pitture raffiguranti animali e motivi ornamentali, ed alcune scritte nel caratteristico alfabeto etrusco. Il dromos interno termina con l’ingresso della thòlos – un’ampia camera sepolcrale di forma circolare, con diametro di circa 5 metri e di pari altezza. La copertura è a cupola ogivale, costituita da massicci blocchi di pietra alberese. Al centro della thòlos è collocato un pilastro di dadi di tufo, in origine rivestito di argilla e di stucco scuro; il pilastro non ha funzione portante: poteva bensì svolgere una funzione astronomico-religiosa. Al momento della scoperta, la tomba risultò essere già stata profanata nei secoli precedenti. Nonostante ciò, furono comunque rinvenuti numerosi oggetti che per la qualità dei materiali e delle decorazioni, testimoniano la ricchezza del corredo funebre originario. Questi reperti si identificano con il periodo etrusco orientalizzante (VII – VI sec. a.C.), e sono oggi conservati al Museo Archeologico Nazionale di Firenze.