Un diario per l’estate #1. Segni della peste
Lorenzo Donati | 03/07/2023 | Altrevelocità
Chiedersi cosa spinga tornare alla tragedia classica è forse un po’ come chiedersi perché facciamo o andiamo a teatro, ma è in tempi come questi, dove il mondo come lo conosciamo sembra sul punto di sfaldarsi anche repentinamente, che si torna collettivamente a interrogare le origini. Allora la tragedia classica serve per guardare dalla massima distanza le relazioni umane e sociali, oggi scandagliate nel tempo reale delle serie tv, dei podcast, delle inchieste, un perenne live broadcasting sui rapporti. La tragedia impone un confronto con un’idea di collettività, anche solo per constatarne l’assenza; se pensiamo alle forme del teatro, la voce della tragedia potrebbe permettere di scartare un torbido della psiche oggi spesso sussunto dall’intrattenimento e spostare il discorso sulla densità di un paradigma che riguarda la polis, l’agire collettivo; eppure allo stesso tempo la tragedia rivolta il terreno delle scelte individuali, dunque la sua memoria collettiva indica sempre una tensione fra orizzonti personali e scelte politiche.
Baccanti di Archivio Zeta sono andate in scena Bologna, a Villa Aldini, location neoclassicheggiante del pasoliniano Salò, ora al centro di un processo di riqualificazione che porterà il gruppo bolognese a ripensarne gli usi per finalità di studio, residenza artistica, spettacolo. Già dallo scorso anno gli spazi della Villa e boschi attorno sono stati teatro del bel progetto Inosservanza, che in estate ospita spettacoli, presentazioni, proposte per bambini e ragazzi, momenti conviviali. Come di consueto nella poetica di Archivio Zeta, il testo è occasione di riflessione e discussione peripatetica, camminando incontriamo i personaggi: Dioniso è interpretato da una donna e da un uomo che parlano alternandosi, ci accolgono con il coro in un tempietto/cappella dedicato alla Madonna del Monte dove il Dio, accusato di impostura, sfida Penteo e Tebe; nel grande prato di fronte alla villa avviene il dialogo fra Cadmo e Tiresia, due tarantolati attraversati dal culto bacchico, e qui la recitazione altera di Gianluca Guidotti si abbandona allo spasso di un motivetto popolare (e tiko tiko tì, e tiko tiko tà!), raffigurazione umana e spaesante di un dionisismo che comunque incute timore. Arriva Dioniso e viene imprigionato dietro un portale della villa, ma le catene facilmente si spezzano. Ora tutti scendiamo, incamminandoci nella parte del bosco sotto l’edificio, in colline che digradano verso la città. Il buio incipiente ci impone di sistemarci in un teatro a gradoni di terra, scavato in un declivio, sul fondo alberi obliqui sono una skenè naturale. Ecco il racconto della fine di Penteo, sbranato dalle baccanti, a narrare è la stessa attrice che interpretava il sovrano e che ora si cala nei panni della madre Agave. L’umido dell’erba risale dalla terra ed è impossibile non pensare a una natura che accoglie, risolve e distrugge (l’alluvione in Romagna è accaduto poche settimane prima). Cosa accade a chi la sfida? Cosa fanno uomini e donne quando l’ascoltano e l’assecondano?