La Notte
di Elie Wiesel
“…Così cerchiamo di prendere un po’ di Silenzio, poche Parole e parliamo…”. Questa frase di Elie Wiesel è l’incipit in video del nostro spettacolo teatrale. Che forse non può, non deve e non ha proprio niente di spettacolare, non è uno spettacolo ma un’ipotesi per dire la materia indicibile de La Notte, una delle testimonianze più importanti e sconvolgenti sulla Shoah.
da La Nuit di Elie Wiesel – Éditions de Minuit
traduzione Daniel Vogelmann – Editrice La Giuntina
drammaturgia e regia Gianluca Guidotti ed Enrica Sangiovanni
con Diana Dardi, Pouria Jashn Tirgan, Giuseppe Losacco, Andrea Maffetti, Enrica Sangiovanni, Giacomo Tamburini
con la partecipazione in video di Elie Wiesel
musica Trio Shir-am 3, Claudio Monteverdi
riprese Gianluca Guidotti, Francesco Lagi, Stefano Tognarelli
montaggio e editing video Federica Toci e Andrea Sangiovanni
luci Theo Longuemare
lampade di scena Andrea Sangiovanni
produzione archiviozeta
La Notte è un progetto teatrale ideato da archiviozeta nel 2001, tratto da La Nuit di Elie Wiesel, considerata una delle testimonianze più importanti sulla Shoah, una delle riflessioni più profonde sull’esistenza di Dio. Elie Wiesel (Premio Nobel per la Pace 1986) ha autorizzato per la prima volta l’adattamento teatrale de La Notte, in cui testimonia la storia della deportazione e della morte ad Auschwitz e Buchenwald della sua famiglia e ha accettato di collaborare al progetto leggendo in video alcune parti del suo libro; inoltre ci ha concesso un’intervista e ha risposto a domande su temi contemporanei e sulla Shoah. Elie Wiesel quindi legge durante lo spettacolo alcune delle parti più sconvolgenti della sua testimonianza. Il video è stato realizzato a Boston da archiviozeta il 25 ottobre 2001. archiviozeta ha prodotto anche un film documentario sul viaggio Buchenwald-Auschwitz-Birkenau-Sighet (7-14 dicembre 2001), e sui materiali girati a Boston il 25 ottobre 2001 con Elie Wiesel. Il film si intitola Viaggio nella notte.
Elie Wiesel: una vita da esule
Elie Wiesel è nato nel 1928 a Sighet, in Transilvania, oggi parte della Romania al confine con l’Ucraina. Aveva quindici anni quando con la sua famiglia fu deportato dai nazisti ad Auschwitz. Sua madre e la sorella minore morirono, le due sorelle maggiori si salvarono. Elie e suo padre furono successivamente portati a Buchenwald, dove il padre morì poco prima che il campo venisse liberato nell’aprile del 1945.
Dopo la guerra studiò a Parigi e più tardi divenne giornalista. Durante un’intervista con Francois Mauriac fu persuaso a scrivere delle sue esperienze nei campi di sterminio. Il risultato fu la sua testimonianza La Notte, apprezzata in tutto il mondo e tradotta in più di trenta lingue.Nel 1978 il Presidente americano Jimmy Carter lo nominò responsabile della Commissione sull’Olocausto. Nel 1980 ha fondato il United States Holocaust Memorial Council. E’ anche fondatore dell’Accademia Universale delle Culture a Parigi. Elie Wiesel ha anche difeso la causa di ebrei russi, indios Miskito del Nicaragua, desaparecidos argentini, rifugiati cambogiani, curdi, vittime della fame in Africa, vittime dell’apartheid in Sud Africa e vittime della guerra in ex-Jugoslavia.
Dal 1976 Elie Wiesel è Professore di Scienze Umane presso la Boston University. Autore di più di quaranta libri: romanzi, testimonianze, racconti, testi teatrali e due volumi di memorie autobiografiche. Per le sue attività letterarie e a favore dei diritti umani ha ricevuto numerosi riconoscimenti negli Stati Uniti nel 1986 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. Pochi mesi dopo insieme alla moglie Marion ha fondato la Elie Wiesel Foundation for Humanity. È morto a New York nel 2016.
note di regia
In realtà la tesi di lavoro nasce proprio dal nostro incontro con Elie Wiesel, il 25 ottobre 2001, a Boston:
“…Così cerchiamo di prendere un po’ di Silenzio, poche Parole e parliamo…”.
Questa frase è l’incipit in video del nostro spettacolo teatrale. Che forse non può non deve e non ha proprio niente di spettacolare, non è uno spettacolo ma un’ipotesi per dire la materia indicibile de La Notte, materia che gli attori tentano di esprimere e comunicare in astratto, concretamente.
Gli attori ‘leggono a memoria’, dicono le Parole del Silenzio di Elie Wiesel; come un’orchestra si fanno le prove, si tengono gli spartiti in mano, perseguendo un nostro canone monodico. In scena ci sono ‘i testimoni’, come per Samuel Beckett: sei attori agiscono nello spazio tragico bianco, nel Vuoto del campo-Ade e sono ombre rievocate dalla memoria, sono scintille che illuminano la parola; sei attori più un testimone depongono in questo processo alla Storia, al buco nero del Novecento.
Lo spazio è il foglio manoscritto, per noi, in yiddish, da Elie Wiesel stesso, della prima pagina di ‘E il mondo taceva’, la prima stesura de La Notte, tagliata dagli editori. Abbiamo chiesto a Elie Wiesel di riscrivere queste parole dimenticate, altrimenti perdute:
“In principio fu la fede, puerile; e la fiducia, vana; e l’illusione, pericolosa. Credevamo in Dio, avevamo fiducia nell’uomo e vivevamo nell’illusione che, in ciascuno di noi, fosse deposta una scintilla sacra della fiamma della shekhinah, che ciascuno di noi portasse negli occhi e nell’anima un riflesso dell’immagine di Dio. Questa fu la fonte se non la causa di tutte la nostre disgrazie.”
In questo schizzo d’inchiostro, in quei tratti si cela Giobbe. E non ce ne libereremo più per tutto il testo, “…come capivo Giobbe…”.
Elie Wiesel in persona è il nostro terzo occhio che legge con pudore se stesso, è il terzo se stesso che entra nel gioco delle Parole e del Silenzio del teatro, è il terzo reale vertice del triangolo delle agnizioni, e vigila dall’alto il gioco, detta i ritmi e gli accenti, le pause e il respiro, così come nello Zohar, Il Libro dello Splendore.
È il settimo braccio della nostra Menorah, il candelabro simbolo della religione ebraica, è il nostro fuoco centrale: gli attori stessi sono i bracci di questo candelabro immaginario e applicano, insieme a Wiesel, il solfeggio: il silenzio, le parole, il vuoto, il gesto. Il silenzio è il vuoto del suono. Il vuoto è il silenzio dello spazio.
E le immagini impresse sulla pagina bianca sono segni del presente, non materiali d’archivio: una topofobìa meditata dell’Europa. Ecco i nostri piani-sequenza per una ricognizione: l’inferno a Birkenau, la foresta prima di Weimar-Buchenwald, la ferrovia di Auschwitz-Oswiecim e i fili spinati delle odierne fabbriche polacche. 7-14 dicembre 2001 le date del nostro itinerario: Buchenwald-Auschwitz-Birkenau-Sighet, itinerario inverso a quello de La Notte, itinerario della Memoria ‘in tempi oscuri’ di dimenticanza, itinerario interiore verso Sighetu-Marmatiei, ieri Ungheria oggi Romania al confine con l’Ucraina: terra dell’innocenza, della preghiera, terra di Moshè lo Shammàsh: lo Shammàsh, l’Aiutante, l’ottava candela, colei che accende le altre.
Il controcampo è negli occhi!
PROGETTO LA NOTTE
Incontro con Elie Wiesel
video-intervista di archiviozeta
a cura di Gianluca Guidotti, Enrica Sangiovanni e Marc Fleishhacker
Boston – 25 Ottobre 2001
I – “Tacere è proibito, parlare è impossibile” il conflitto tragico tra Parola e Silenzio è alla base della sua riflessione. Che cosa significa il Silenzio e che importanza dare alla Parola che mantiene in vita la Memoria per il futuro dell’umanità?
EW – Siamo di fronte ad una tragedia che per la prima volta nella storia sfida il linguaggio. Quando uno di noi, passato attraverso la tragedia, è invitato a parlare dice che non può, però deve. Non ci sono parole per dire, per trasmettere una realtà quale era la nostra. Là il nemico è riuscito a spingere la crudeltà e la morte alla fine, oltre i limiti del linguaggio. E così siamo impotenti ma ancora cerchiamo. Alcuni storici, pochi, sciocchi, immaturi, credono di poter spiegare l’Evento. Semplicemente perché conoscono i fatti e i numeri e le dichiarazioni degli ufficiali tedeschi. Anche se qualcuno prendesse tutti i documenti nel mondo e li leggesse e ripetesse tutti, non potrebbe capire.
Alcuni aspetti di questa tragedia vanno oltre la comprensione. Forse Dio, io spero che Dio comprenda: anche se ancora non sono certo che abbia compreso. Ancora, tutto ciò che abbiamo sono le parole e il silenzio tra le parole. Così prendiamo un po’ di silenzio, poche parole e parliamo.
II – In “Le Mal et l’exil” lei ha detto, “Auschwitz è la fine, Hiroshima l’inizio…ma rischiamo di avere altre Hiroshima.” Dove, in questo percorso di tragedia, dovremmo collocare l’11 settembre 2001?
EW – Probabilmente l‘11 settembre va collocato nel mezzo; e se non stiamo attenti, se dimentichiamo troppo presto, allora un’altra Hiroshima è possibile, non un altro Auschwitz, ma un’altra Hiroshima.”
Forse c‘era così tanto odio in quegli anni, in quei tempi, in quegli eventi che si ha ancora un “fall-out”. Così come parliamo di precipitazione radioattiva possiamo parlare di precipitazione di odio. E cinquant’anni dopo siamo testimoni di questa precipitazione e questo “fall-out” o queste ceneri d’odio ancora brucianti, sono sparse da fanatici che credono di avere Dio dalla loro parte. E credono che Dio sia diventato un loro complice, un complice di assassinio e assassino. Come possono coinvolgere Dio in un assassinio?
Ma l’11 settembre è una data importante perché circa 6000 persone sono state uccise solo perché si trovavano là, soltanto perché erano là. Ebrei, Cristiani, Musulmani, giovani, vecchi, ricchi e poveri, uomini e donne. Erano là e per questo sono morti. E io credo che tutto il mondo civile debba mobilitarsi con tutti gli sforzi possibili e tutte le energie per combattere il terrorismo. Il terrorismo ora è il nemico. Il nemico dell’ l’umanità.
III – Nel romanzo “L’Oublié” lei parla del morbo di Alzheimer. La paura della perdita della memoria attraversa gran parte delle sue opere. Questa terribile malattia sembra una metafora dei nostri tempi in cui troppo spesso odio e violenza vincono. Come può l’uomo, dopo L’Evento, continuare a ripetere gli errori e le atrocità del passato?
EW – Che ne è dell’umanità che non impara dal passato? Vorrei saperlo. La questione è che la natura umana non può essere cambiata così rapidamente. Probabilmente non nell’arco di una sola generazione, e nemmeno in un secolo. Perciò siamo sedotti dal male, siamo tentati da ciò che è impuro. E quando quella tentazione prende il potere allora siamo in pericolo.
La minaccia per questa generazione, questo secolo, i giovani di oggi, i bambini, è il fanatismo, l’odio, l’odio razziale, l’odio religioso, l’odio etnico, l‘odio culturale. E l’odio è come un cancro, quando c’è è difficile fermarlo perché contagia da cellula a cellula, da arto ad arto, da persona a persona fino alla morte.
Sì, oggi abbiamo dei nemici che credono che il loro essere uomini consista nel potere di uccidere. Devono essere fermati, una volta ancora.
IV – Ne “La Notte”, per la prima volta, lei parla con disperazione del Silenzio di Dio, della Sua Eclissi. Come descriverebbe il suo percorso spirituale? A che punto si trova oggi in quel percorso?
EW – Tutte le domande che avevo durante e dopo la guerra sono ancora lì e sono aperte; non ho trovato alcuna risposta.
Prima della guerra il mio rapporto con Dio era quello di un vero religioso. Ero religioso perfino durante la Guerra; pregai. Ero arrabbiato ma nonostante la rabbia, pregai, ogni giorno.
Dopo la guerra, quando arrivai in Francia, ridiventai molto religioso. Allora è giunta la crisi. Volevo una risposta, mi era necessaria una risposta da parte di Dio, non l’ho avuta. Poi, anni dopo, decisi che era arrivato il tempo di fare la pace con Dio e dirGli: guarda Signor Dio abbiamo litigato per troppo tempo, facciamo pace. Così abbiamo fatto la pace, spero, almeno da parte mia; ma questo non significa che ho rinunciato alle mie domande, no, le mie domande sono ancora qui.
Ma non posso abbandonare Dio. Mi era talmente vicino, era in me, nei miei genitori,nei miei nonni. Così cerco di continuare a seguire la loro strada, nel loro rispetto.
V – Ne “Le chant des morts” lei ha scritto che “Ad Auschwitz è morto non solo l’uomo, ma anche l’idea dell’uomo.” Dopo essere passato attraverso “Le mal absolu”, ha ancora fiducia nell‘uomo? Nel Bene?
EW – Non si può concepire Auschwitz con Dio, né senza Dio. E quindi ci troviamo davanti ad un dilemma. Che fare allora? Continuiamo a farci questa domanda e rispondiamo che non si può concepire Auschwitz avendo fiducia nell’uomo e neppure senza. Dov’era l’umanità in quegli anni? E’ troppo facile dire che tutto è Dio. E gli uomini?
Auschwitz non è sceso dal cielo. E’ stato concepito dall’uomo, edificato dall’uomo, reso efficiente dall’uomo. E’ stato frutto dell’uomo. Spesso di uomini intelligenti; alcuni anche colti, e ben educati. Allora perché educare? Io sono un educatore. Perché credere nella cultura? Io sono un scrittore.
Non ho una vera risposta. Tutto quello che posso dire è: qual è l’alternativa? Andare contro l’umanità? Non posso farlo, tradirei me stesso.
Allora lavoriamo, e cerchiamo di dare un significato alle cose che ancora non ne hanno. Ma lo facciamo sempre per l’umanità, non contro.
VI – “La Notte” è stato scritto originariamente in lingua Yiddish, poi pubblicato in francese, e oggi lei è un cittadino americano. A Sighet si parlava ungherese ora è Romania.. In che lingua pensa? In che lingua sogna?
EW – Io penso in francesce perché è stata la lingua che ho imparato quando ero adolescente durante gli anni della formazione, era la lingua di quando ho scoperto i primi romanzi, i primi libri di filosofia, psicologia e letteratura.
Sogni…stranamente sogno a seconda degli eventi storici che ho attraversato. Se sogno della mia infanzia è in yiddish. Se sogno della mia vita in America è in inglese, se sogno di Israele è in ebraico, o in francese per quanto riguarda il mio lavoro. Le mie lingue seguono il mio viaggio e la mia geografia. E di volta in volta cambio lingua nel corso dello stesso sogno, se passo di paese in paese e improvvisamente non sono più a Parigi ma in Israele, allora non so più che cosa sto dicendo…beninteso unicamente in sogno…
Ma io scrivo in francese. E’ una lingua molto strana, ed è una lingua alla quale non piacciono cose strane. E’ troppo razionale, troppo cartesiana e quello che scrivo a volte tratta il misticismo, che è tutto tranne che cartesiano. Ma a me piacciono le difficoltà, come si può vedere.
VII – Durante la Dichiarazione d’Indipendenza dell’India, Gandhi, di fronte al terribile conflitto tra musulmani e indù, disse: “Occhio per occhio, e tutto il mondo sarà cieco.” Oggi in Medio Oriente siamo ancora una volta a confrontarci con il problema della Memoria? Gran parte del mondo ha perso di vista le origini di questo conflitto? In mezzo a tanta sofferenza qual è la strada verso la pace?
EW – Non ho mai vissuto in Israele, ma mi sento vicino a Israele. Non vivo a Gerusalemme ma Gerusalemme vive in me. Così qualsiasi cosa accada là mi colpisce profondamente. Ultimamente sono triste; vado avanti con il cuore pesante. Non so quando sarà raggiunta la pace e con ogni fibra del mio cuore voglio la pace. C’è già stata abbastanza sofferenza, abbastanza lacrime, abbastanza funerali…è abbastanza.
Ho perso gran parte della mia speranza l’anno scorso quando Yasser Arafat, capo dell’Autorità Palestinese, ha respinto le concessioni molto generose dell’allora primo ministro Barak; così generose che tutti in Israele erano stupefatti per quelle concessioni.
E Arafat ha detto: no. Se le avesse accettate, adesso ci sarebbe uno Stato Palestinese, con l’aiuto di Israele e del mondo intero, e non ci sarebbe lo spargimento di sangue che c’è adesso. Ma lui le ha respinte.
Allora la domanda per molti di noi è: significa che lui non vuole Israele? Che semplicemente non vuole Israele? Quindi non è una questione di geografia o di territorio o di politica, semplicemente non vuole Israele. Se è così dove stiamo andando?
E allora mi sforzo per inventare una speranza, deve esserci speranza.
Forse quello che sta accadendo adesso in America, con il mondo intero che sta cercando di respingere il terrore, può darsi che dia anche a lui la forza di respingere il terrore tra i suoi. E una volta fermato il terrore, sono convinto che il popolo israeliano, il governo israeliano saranno generosi e accetteranno qualche sacrificio per costruire la pace con i Palestinesi.
VIII – In questi anni l’Europa ha conosciuto gli orrori della Bosnia e del Kosovo. Che cosa dovremmo insegnare ai nostri figli affinché la fine dei genocidi diventi realtà e non solo un sogno?
EW – Ho visitato i Balcani, sono stato là, sono stato a Sarajevo, sono stato in Bosnia durante i massacri. Ricordo che giravo chiedendo alle persone, “Perché fate questo? Perché tutto questo odio?” E là, davanti al mio sconcerto, alla mia paura, al mio disincanto, hanno evocato il potere della memoria. E dicevano, “Che significa, mio nonno è stato ucciso o umiliato da suo zio, dal suo prozio, come posso dimenticarlo?” E a causa di fatti successi duecento anni prima, combattevano uno contro l’altro, ammazzandosi reciprocamente.
Io credo che la memoria sia un rimedio contro l’odio, ma loro usano la memoria per spargere odio.
E’ un problema di cultura. Penso che adesso la situazione sia migliorata perché alcuni dei politici che hanno commesso i massacri si trovano ora a L’Aia, affronteranno la corte e verranno puniti, spero come meritano.
Le cose si sono calmate. Significa che non succederà più? Siamo ottimisti. Speriamo per tutti i bambini che la smettano con questa assurda pratica con la quale si sono divertiti per generazioni: uccidere.
Che c’è di grande nell’uccidere? Non c’è gloria in quel gesto. Non si rendono conto che non esiste gloria nell’uccidere? Gran cosa essere in grado di uccidere uomini, donne e bambini, civili senza difesa. Che c’è di grande in tutto questo?
Spero che capiranno.
La Notte
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